Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 01/05/2022
Esiste ancora il valore del 1° maggio?
Il tempo turbolento che viviamo e ciò che il secolo scorso ci ha tramandato nelle sue diverse mutazioni e trasformazioni, non ci permettono di festeggiare ricorrenze, come il primo Maggio, ed altre che sono nate in contesti d forti sentimenti di giustizia, di rivendicazioni sociali, di urlata libertà, di onorata dignità e benessere per tutti.
Le così dette lotte, le famose e storiche barricate, i morti per “giusta causa”, i sacrifici di intere popolazioni italiane e straniere, fanno parte, ormai, di una vecchia ed austera storia della letteratura socialista che dal 1889 (primo Maggio – Prima festa del lavoro) iniziò l’attacco frontale all’ipocrisia borghese ed al suo potere cieco e corrotto.
Borghesia e capitalismo che provocarono le più nefaste guerre del Novecento e gli abbomini degli stermini, del dilagare della povertà, fino alla nascita di nuove forme di schiavismo, di annientamento della personalità, come l’affermarsi dell’impero del consumismo, del mercato globalizzato, dell’unicità del pensiero e dei comportamenti sociali e culturali omologati. (Questi gli effetti collaterali poiché finita la borghesia si aprirono i rivoli delle nuove mode ideologiche, del conformismo delle coscienze, di nuove forme di potere nella prospettiva di un radicale trasformismo della specie umana, naturale e di ogni forma vivente presente su questa Terra).
Quei veri contenuti che impegnarono intellettuali, scrittori, poeti ed artisti, oltre le realtà politiche e sindacali, si sono sfaldati ed hanno finito per essere assorbiti dal fascino e dalla comodità del consumismo in un processo imitativo, emulativo, quasi voler far rinascere la vecchia “pettoruta” borghesia di fine Ottocento o quella più subdola, insidiosa del post seconda guerra mondiale, quella del boom economico e del trionfo dell’industrializzazione indiscriminata.
E così si sono persi i valori spirituali e morali: il ritorno al possesso dei beni fisici, concreti, materici hanno oscurato il sentimento della ricerca ed affermazione del mondo valoriale e spirituale che fino alla vigilia della prima guerra mondiale guidavano le azioni ed i pensieri degli uomini, anche quelli più poveri ed umili.
La dignità era l’orgoglio della persona, era la virtù principale che muoveva il senso del vivere e la forza per combattere le inevitabili tribolazioni. Ricordando un vero intellettuale italiano Pier Paolo Pasolini, nelle sue Lettere Luterane, scritte nel 1975, nell’anno della sua tragica morte, con acuta e preveggente valutazione, aveva colto che proprio a partire dagli anni settanta, decennio di grandi illusioni e di isterismi terroristici, così scriveva:
“[…] L’Italia di oggi è distrutta esattamente come l’Italia del 1945. Anzi, certamente la distruzione è ancora più grave, perché non ci troviamo tra macerie, sia pur strazianti, di case e monumenti, ma tra “macerie di valori”: “valori” umanistici e, quel che più importa, popolari. […]”.
Ebbene questa ennesima amara ed attuale constatazione deve farci riflettere sul nuovo significato del primo Maggio: evitare sfilate e comizi incomprensibili, raduni urlati da regista di periferia e forme ripetitive di partecipazioni coatte, solo perché esistono ancora i marchi storici di un bel tempo che fu. Oggi quei problemi si sono trasformati: il capitalismo operante insieme al consumismo hanno vinto su “Bella ciao”, mentre popoli della vecchia Europa sono in fermento con in mano non tamburi da fanfara ma tamburi di guerra. L’uomo contemporaneo è disperato, smarrito, crudele, possessivo, egoista e soprattutto assetato di potere a qualunque costo. La vita ha perso il suo sublime ed immaginifico significato. Riprendiamoci le piazze per contestare la politica della svendita dei nostri patrimoni culturali e delle nostre risorse economiche. Innalziamo, di nuovo, il nostro Tricolore con l’antico fervore ed orgoglio di essere ritornati Italiani e non attori (comparse) di un film di propaganda per paesi sottosviluppati.
Franchino Falsetti