Miriam Bruni commenta la silloge di Maria Felicetti
Maria Felicetti, Vita in consegna, uscita nel 2024 per i tipi di Fuorilinea
Pubblicato il 31/10/2025
Comincio dai versi che mi paiono i più indicativi della direzione poetica di questo lavoro: versi che trasmettono il senso di una difficoltà, di una fatica ineludibile, e di una dicotomia che tutti ci accomuna, quella tra sospiri e slanci, tra frustrazioni ed entusiasmi. La via di Maria è anche la mia, quella cioè di dare corpo, spazio ed energia a quell’anelito all’espansione che l’autrice nomina in queste righe:
Ma attraversa sentieri accidentati
la via che porta a espandere i confini,
di slanci è fatta, di immensi sospiri.
Ad una seconda lettura sono questi i termini che mi paiono ricorsivamente significativi per l’autrice: neve, stelle, abisso. amore.
Quanto a quest’ultimo, si tratta in Felicetti di una realtà agognata, ricercata, ma anche ricevuta, accolta in dono.
Fate casa all’amore, che versa il cielo nelle vostre vene.
Mi ancoro sui capezzoli del sogno, laddove scorre linfa per osare.
Oltre i miei graffi divampa il bisogno folle di amare.
Quanto al bellissimo titolo, già Domenighini, nell’Introduzione, aveva sottolineato che esso “rimanda a una concezione sacrale dell’esistenza, intesa come dono divino che deve essere onorato e tutelato”.
Concordo con questo giudizio e aggiungo che vi sono chiari echi biblici (sia vetero che neo-testamentari) a suffragare questo, oltre a richiami evidenti alla tradizione classica sia antica che moderna, a dire ancora una volta di come la scrittura e il parlato delle nostre vite si innervi e nutra necessariamente di tutto quello che leggiamo, studiamo, incontriamo nel nostro percorso esistenziale.
Ho apprezzato in particolar modo la sezione SONETTI, l’ultima del libro, perché vi ho trovato un’ottima fusione tra controllo formale e verità soggettiva, sentimento e sguardo poetico sul mondo sia esteriore che interiore. Penso ad esempio al testo “Gola riarsa” e a quelli dedicati al nonno, alla madre, all’amato.
In Felicetti è chiara la consapevolezza della nostra piccolezza e della facilità con cui l’umanità erra, si maschera, si sciupa. Sa che siamo ombre passeggere, soffi vani, riflessi che non sanno la distanza dagli astri. Ci paragona poeticamente alla polvere, alla mancanza, a puntini che si credono titani. (vedi “Particole d’eterno”).
Ella ricorda e custodisce in cuore le parole di Gesù, quando un giorno ammonì riguardo al sale che perde sapore. Felicetti medita e lotta affinché ciò che è chiamato ad essere luce e lievito non diventi un fuoco spento, non diventi sopore, anziché sapore!
Il sopore dei vivi (Canzone)
Mi ferisce il silenzio
nel sopore dei vivi
che scordano la luce di ogni giorno
e ingoiano l’assenzio
di miraggi furtivi.
Dal loro oblio non fanno mai ritorno
e l’amore che esplode tutto intorno
non riescono a vederlo.
Si affannano e non fanno,
non cercano e non hanno.
Accade di smarrirsi e non saperlo,
ridursi a un fuoco spento,
svanire come cenere nel vento.
Non hanno sguardo in faccia,
di sé non hanno cura,
e come un’ombra passano nel mondo
senza lasciare traccia
benigna e duratura.
L’andare è solo un vagare infecondo,
il tempo perde rotta e gira in tondo
nella sua vacuità.
Hanno perduto il senso
inciso nell’immenso.
Ma erano stati fatti in verità
per essere sorgente,
parola che zampilla trasparente.
Nati da una scintilla,
dovevano brillare,
chiamati per istinto a cose belle.
Plasmati dall’argilla,
pensati per amare,
erano loro destino le stelle.
Ne avevano i frammenti sulla pelle,
misterioso ricamo.
Ma hanno perso ogni brama
dentro una vita grama,
mentre del cielo ignorano il richiamo.
E senza lo stupore
dormono svegli il sonno di chi muore.
Ma perché la scelta della metrica, ho chiesto. E Maria mi ha risposto così:
In questo libro ho scelto di avvalermi dell’uso della metrica per sperimentazione, per la musicalità e l’armonia che consente ai versi, e anche per onorare la grande tradizione letteraria italiana. Il passato sono le nostre radici, ed è un patrimonio non solo da preservare, ma da tenere vivo. La metrica è la grammatica del poeta, uno strumento che se imparato e padroneggiato con sapienza permette all’autore di ottenere effetti espressivi inconsueti ed efficaci. Le figure retoriche quando sono incisive, suggestive abbelliscono un testo. Tuttavia la metrica è sempre un mezzo espressivo e la tecnica senza un contenuto che la sostenga diventa mero artificio.
La poesia è per me salvezza e condanna. La parola ci salva dalla dimenticanza, dall’appiattimento, dalla stagnazione, ponendoci costantemente alla ricerca, ci conduce a nominare le cose come il primo uomo, rendendoci partecipi di un atto creativo, ci restituisce a noi stessi e alla realtà. E’ lo sguardo che coglie e cura, è l’ altrove che ci attende oltre le cose, ma allo stesso tempo ci dispone a non poter più fare a meno di servirci della parola poetica per dire. Ci obbliga a restare vigili, aperti, sensibili, allargando quel solco, quello squarcio irreversibile dentro cui ci lasciamo toccare, muovere, ferire dalla realtà e dove sanguiniamo.
Che sensazioni hai, a libro pubblicato e consegnato al mondo?
La silloge “Vita in consegna” ha vinto al concorso ”Voci” di Roma, con la quale ha ottenuto la pubblicazione gratuita. Non so quanto abbia viaggiato questo libro, quanti lettori ha incontrato e quanta strada farà ancora, ogni libro ha una sua genesi e una sua storia, ma a distanza di un anno posso dire di aver ricevuto alcuni riscontri positivi e condivisioni sui social media. Al di là delle vendite comunque ciò che per me conta è che non sia solo un libro che faccia parlare di sé, ma che continui a parlare al cuore del lettore nel tempo a venire.
Miriam Bruni

