EDITORIALE Millecolline. Si cercano le parole, ma si sono sciolte

Editoriale della domenica

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 25/05/2025

Si cercano le parole, ma si sono sciolte

I riferimenti al passato sono per me molto presenti.

Si diceva: mi manca la parola per essere momentaneamente in difficoltà nel determinare un oggetto o definire una situazione.

Oggi si usano le parole anche quando non se ne conoscono i significati.

Si è predisposto un canale privilegiato chiamato neologismi con la benedizione della Crusca (antica Accademia non più in difesa della lingua italiana) e della Treccani (Dizionario illustre della lingua italiana che mostra i suoi blasoni lacerati e consunti).

Entrambe queste gloriose presenze, conosciute in tutto il mondo, come ha fatto la Chiesa, hanno abbandonato la severità e la rigorosità delle tradizioni per aprirsi, secondo mode giovanilistiche, all’effimero modernista all’insegna delle parole in libertà, di futurista memoria, liberalizzando la conoscenza della struttura linguista, delle sue regole (grammaticali e sintattiche) diffondendo la didattica della oralità e penalizzando la scrittura, dove, maggiormente, si deve rendere la parola elemento attivo e selettivo del pensiero e del pensare.

L’educazione all’oralità porta a forme ristrette della comunicazione, la scrittura predispone l’organizzazione sistemica dell’interazione tra parola e pensiero. Come ben sappiamo, oggi si parla senza pensare.

Tutto si evapora e nulla si trattiene.

Papa Leone XIV ha fatto conoscere al mondo intero che i discorsi devono essere scritti, perché denotano la cultura del pensare e dell’organizzare il proprio pensiero in funzione di renderlo comprensibile e fruibile. Pertanto per capire questo complesso e liquido Tempo delle rapide e contrastanti metamorfosi è opportuno partire dalla parola (orale e scritta).

Le scuole devono diventare delle piccole Agorà in cui si insegnino le tecniche oratorie, non solo quelle per superare anche le proprie difficoltà a prendere la parola in pubblico, ma quelle relative alle conoscenze e proprietà linguistiche che regolano la storia, la filologia, morfologia e sintassi di una lingua (la lingua italiana).

È la conoscenza approfondita della lingua che fa l’identità, nel nostro caso che ci rende Italiani.

Ho visionato un Corso di lingua italiana dalle elementari alle medie (1 e 2 grado superiore) e sono rimasto molto sorpreso nel notare che in questi anni di invasioni turistiche e di mode legate alla conoscenza di una lingua straniera (con metodi finalizzati alla velocità strumentale dell’apprendimento) i libri di testo delle nostre scuole sono ad uso turistico, per possedere un vocabolario funzionale alle necessità giornaliere e ricorrenti.

A cosa servono i dizionari se le lingue vengono standardizzate, omologate, ridotte, semplificate, per un uso contingente, familiare, consumistico? Oggi si parla e si scrive con 600 parole.

In cinquant’anni siamo scesi dalle 6000-7000 parole alle 600 attuali.

E molte parole vengono storpiate dagli stranieri e diffuse e noi parliamo sempre meno in lingua italiana: il nostro prontuario è fatto di neologismi, di frasi gergali, di parole inventate e alimentate dalla scuola non più “identificata” come italiana, fino all’incentivo di deformare la fonetica e gli asterischi a fine parola.

Tutto nel disordine generale, poiché in Italia si può fare l’impensabile, compreso sbagliare processi, incriminare innocenti, portare gli studenti italiani nelle moschee e pregare Maometto.

Non si conosce un rigo del Vangelo ma sono portati ad ascoltare l’iman che illustra il Corano. Per aver conoscenza delle altre religioni (importante opportunità) bisognerebbe conoscere molto bene la propria.

Altrimenti siamo di fronte a pericolose operazioni come l’islamizzazione o sottomissione. Esperienze che si stanno verificando in questi giorni in diverse località del Veneto e della Lombardia.

Mi fa pensare che l’Impero Austro-Ungarico che dominava quelle terre siano rimaste pre-risorgimentali.

Gli episodi citati mettono in evidenza la non italianità e l’incapacità dei nostri governanti e parlamentari di debellare queste forme di rivolta autarchica, che predispone l’anarchia.

Perché in Italia deve mancare il potere centrale? Perché si sono sviluppate queste forme di scelta individuale, personale a dispetto dello Stato? Noi in quale Stato viviamo?

Sembrerebbe che sia andato fuori tema, ma non così: la nostra Costituzione è stata costruita con le parole della Democrazia e della Repubblica, in lingua italiana e con costrutti linguisti chiari e pertinenti, perché tutti potessero capire i nuovi modelli di vita sociale, civile e politica.

La parola ci distingue mentre afferma valori non modificabili perché garantiscono il nostro modo di essere, di esistere e di appartenenza ad una Nazione di cui noi siamo i “Fratelli d’Italia” del glorioso Inno di Mameli.

 

Franchino Falsetti

 

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