Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 20/04/2025
Di che cosa possiamo parlare?
Può sembra una domanda peregrina, inutile, Non è così! Coltivo le vecchie abitudini tra cui quella di fare una sosta di 5 o 10 minuti, al giorno, in un bar, senza intenzionali scelte di gradimento. Molto spesso preferisco prendere un caffè stando seduto, scorrendo i titoli di qualche giornale lasciato sul tavolo e cercando di rendermi conto dove sono, della tipologia degli avventori.
Rimango sempre molto sorpreso perché la tipologia è proporzionale al luogo in cui si trova il bar: presenza di uffici, di scuole, di cantieri, o di pensionati che vogliono spendere un po’ di tempo in convenevoli abitudinari.
Un dato evidente è la frettolosità e rapidità con cui si consuma. Anche chi entra in gruppo, non spende una parola. Guarda solo il suo cell. e come una idrovora beve il caffè, paga ed esce con rapidità.
Dove sono le famose quattro chiacchere al bar? I bar non sono più luoghi d’incontro, di soste con accesi dibattiti, con il piacere di voler sostenere una propria opinione od una propria tesi (convinzione).
Un tempo si entrava con il giornale appena comprato e si leggevano notizie che potevano essere commentate e si creava il capannello che poi diveniva una simpatica attrazione per ogni cliente occasionale e non. Le fonti erano la radio o la stampa quotidiana (in particolare quella di partito). A volte entrare nel bar era come entrare in un libero “doposcuola”: confusione, gruppi appartati e vocianti, e la presenza di chi tentava di orchestrare il dibattito, di creare veri e propri angoli di cultura popolare.
Dai bar educativi, dell’accesa conversazione, della ricerca di conferme e dialettiche improvvisate, ai bar della solitudine, della velocità consumistica, del silenzio, della non aggregazione.
I giovani preferiscono i calici del tramonto e le chiacchere da discoteca, con rischi sulla propria sicurezza. La parola, la conversazione, il piacere di stare insieme non abitano più il costume del post moderno, o del pensiero debole o del pensiero unico.
Leggevo qualche settimana fa che le biblioteche sono poche frequentate ed in molte realtà del nostro antico Stivale neppure esistono. Sono estinte persino le famose biblioteche popolari che hanno formato le prime generazioni d’italiani dopo la nascita dell’Unità d’Italia.
Ma di che cosa parliamo, se nei luoghi del fermento “ideologico” tutto tace e tutto è affidato alla solitudine del consumo e della realtà artificiale dei mezzi di informazione di massa e degli strumenti elettronici, nonché dalle holding della conoscenza, censurata, limitata, sintetizzata, tecnologizzata di cui siamo condizionati e spersonalizzati? Mancano le fonti del discutere, mancano le informazioni elementari su cui discutere.
I giornali sono strumenti cifrati, i giornalisti si parlano addosso, esprimendo i propri umori ma non possono ascoltare cosa pensa la gente.
Al di là delle noiose manifestazioni sui problemi degli altri, nulla si scrive per essere consapevoli di ciò che ci sta accadendo, delle rapide trasformazioni sociali, culturali e di costume.
C’è un divenire fatalistico che passa sulle nostre teste e si ferma in Parlamento. Luogo, un tempo di lezioni oratorie e alta conoscenza delle varie complessità del Sistema della legislazione ed amministrazione pubblica, oggi luogo di libere opinioni, senza professionalità, senza alcuna profonda analisi e risoluzioni, senza contraddizioni o contrapposizioni tra i vari poteri istituzionali.
Come sia possibile pensare ad una maturità di un popolo (quello italiano) per capire le dinamiche sociali in atto e quelle che verranno programmate, se non si hanno luoghi, occasioni pubbliche per parlarne?
I dibattiti, i Convegni, le Fiere culturali, i Premi letterari ed artistici, non discutono di problemi, ma sono dei veri sepolcri imbiancati, dove si tenta di risuscitare mondi e protagonisti che sembrano governarci da un altro pianeta. È importante Aristotele, ma non ci serve per risolvere il problema delle baby gang (problema gravissimo a Bologna- senza risoluzione).
È importante conoscere il filosofo Kant, ma non ci aiuta ad affrontare l’epoca delle “passioni tristi”, cioè la solitudine ed il disadattamento delle nuove generazioni, pienamente defuturizzate ed emarginate da una Società non solo ad una dimensione, ma completamente dimezzata.
C’è una parola giapponese che ci rende edotti: Hikikomori che significa “stare in disparte, isolarsi”.
La cultura non deve servire per fare mostre rievocative di giallisti o fotografi o romanzieri o filosofi o politici, la Cultura deve essere un investimento ideologico, pedagogico e formativo per migliorare lo stato sociale ed il benessere personale.
E bisogna saper governare, altrimenti saranno i poteri forti a farlo, come nel passato e ridurranno le Società in semplici opportunità di sfruttamento, di guadagni narcisistici e di segregazioni delle nostre vite.
Ecco perché è opportuno riprendere la parola in ogni luogo con competenza, con senso di responsabilità, con convinzioni, cercando il confronto per arrivare a costruire una democrazia sempre più partecipata, deliberante e non generazioni di alieni.
Franchino Falsetti
Auguri per una
Luminosa Santa Pasqua
…si chieda il perché quasi tutti i bar sono stati acquistati ( meglio dire venduti) dai cinesi. Il “locale”, la “bottega”, il Bar la fa chi sta dietro al banco…
Eggià, vogliamo parlare anche delle multinazionali che pagano fanno il bello e il cattivo tempo in Italia e pagano le tasse in Olanda? Vogliamo parlare delle aziende che vincono gare al ribasso e poi subappaltano ad altri, tanto i Comuni, per legge, non devono controllare come quei soldi vengono spesi? Vogliamo parlare dei quotidiani che vengono pagati dai soldi nostri per continuare a scrivere narrazioni utili ai timonieri di questa ex Repubblica? Vogliamo parlare di coloro che vanno in giro a dire che con la cultura non si campa e insistono a rovinare le vite con le la loro ideologia neo-liberista? Vogliamo parlare dei tanti che hanno abiurato i loro principi sociali per deformarsi sulla sedia conquistata? Vogliamo parlare della liberazione del lavoro durante la domenica, cosa che ha scardinato uno degli ultimi fortini della vita famigliare? Vogliamo parlare del fatto che la mafia e la camorra sono piaghe di cui non si parla più per non mettere a disagio politici e faccendieri che pagano altrettanto come i cinesi per far pensare che queste organizzazioni non siano più un problema nazionale? Sono tante le cose di cui dovremo chiederci e riparlarne. Altro che cinesi.
Roberto Cerè
È Certo che con la “ cultura” non si campa. O si è ricchi di famiglia o si ha un lavoro per mantenersi. O si hanno degli “sponsor”. Mi porti degli esempi concreti. La “cultura “ è un hobby e come tale va coltivato. È “vitale” per gli artisti esprimersi e comunicare. Non so quanti pittori ha conosciuto che vivono vendendo le proprie opere.
Per tutto il resto ha elencato troppe “poche cose”. Di problemi ne abbiamo tanti.
Il mio commento relativo all editoriale riguarda “ai bar della solitudine” dove molti hanno venduto l’attività perché hanno detto “basta!” “Caffè, aperitivo, sigarette, gettone, gratta e vinci” sono le 5/6 parole di questo “dialogo moderno”. Come è scritto nelleditoriale il bar era luogo di incontri adesso è diventato luogo di “passaggio”….quella “ base della piramide sociale” fatta ad hoc come merce di scambio. Fra “stipendiati garantiti” con relativi diritti conquistati, le relative pensioni e lavoratori in proprio” c’è tanta differenza. Spero comprenda gli argomenti…Saluti, MM
Se la cultura è un hobby allora siamo terminati come italiani. Spero che in pochi la pensino come lei.
Il lavoro come unica luce della vita è un degrado che porta a non comprendere altro.
Sono stato “uno stipendiato garantito” anche io e con i diritti ci ho costruito cose che interessavano la mia vita. Il lavoro che spacca le ossa e diventa unica conoscenza di vita provoca aridità, competizione, conflitto fino a morirne senza alcun eroismo. Anche io sono in pensione e con parte della mia pensione mantengo questa rivista che offre, gratuitamente e volontariamente, una informazione che si sforza di raccontare ciò che la maggior parte degli italiani considera noiosa e superflua: la cultura. Le ha, dall’alto del suo scranno, fa altrettanto? I lavoratori “in proprio” sono orgogliosi di esserlo per poi scoprire che agendo in quel modo non sono tutelati da nulla e da nessuno, perciò: chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Roberto Cerè
Salve Roberto lei scrive: , “ … il lavoro è un degrado che porta a non comprendere altro.” Ma certo: il fornaio dove lei compra il pane non è un lavoratore “in proprio” è un dipendente statale!! Il muratore o l’ idraulico ce li paga lo stato.? La famiglia chi la mantiene , lo stato? Lei è stato uno dei tanti dipendenti statali con un “secondo” lavoro “Poste , manifattura ecc…?” che ha evaso le tasse con lavori in “nero”? Non penso e forse mi sbaglio,(?) ha mai fatto “scioperi” per difendere una “ categoria sempre garantita”.? O scioperi “solidali” per altre categorie di lavoratori?
Non penso sappia cosa è il lavoro e la creatività necessaria per portare a casa uno stipendio con le “proprie capacità e fatiche quotidiane”, immagino abbia vissuto la sua “alienazione” forse per 40 anni. Sono esperienze diverse. C’è chi ci mette il “culo” e chi ci mette la “ faccia”. Anche nel primo caso “chi è causa del suo mal pianga se stesso “ . E mi sembra il suo caso. Se lo è ha sempre vissuto grazie alle “tasse e il lavoro degli altri”. , “ quelli che le hanno pagato lo stipendio e adesso le pagano la pensione” Se lo è sta vivendo sulle spalle di chi sa fare. Mi scusi la “ critica” , i suoi” diritti” (quali?) sono “aridità “ . Lei è pieno di contraddizioni. Un “fenomeno” autoproclamatosi per diletto. Vada a lavorare (cosa che forse non ha mai fatto) .Crei qualcosa di suo. Impari cosa vuol dire “cultura” e non si “ compiaccia di quanto è bello” sulle fatiche altrui. Fotografo. Ma quale fotografo? Ma vada a ….rivedere la sua “alienazione”
Lei suppone troppo; io ho lavorato per 43 anni in aziende metalmeccaniche come progettista e programmatore di macchine a controllo numerico, per aziende come Ferrari, Piaggio, Fiat, BMW, Mercedes, e così via. Nel frattempo facevo fotografie (45 anni di fotografia) e video (11 anni di riprese) a cui aggiungo l’idea di aprire una rivista d’Arte gratuita mentre facevo tutto questo (compreso 6 anni di badante a mia mamma). Vuole che prosegua con il curriculum?
Sia felice.
Roberto Cerè
Mi scusi se ho frainteso. Diverse esperienze del passato mi hanno portato esempi poco “edificanti” di stipendiati garantiti come gli statali e i loro “secondi lavori “ in mutua e in ferie.
“Alienati” dal lavoro sicuro e da tenere stretto fino alla pensione, cercavano “consolazione morale” nel “fare” per trovare soddisfazioni personali. “Peccato” perché erano in concorrenza e portavano via lavoro a chi aveva partita iva con i relativi costi aziendali. E mi riferisco a tutte quelle categorie dove poter fare lavori a bassi prezzi per il privato faceva la differenza.
Non condivido la sua “ chi è causa del suo mal pianga se stesso” per chi si mette in proprio, perché è uno “spirito libero”, per non “alienarsi” da lavoro stipendiato, alle dipendenze di qualcuno che detta regole delle vite altrui e mantenere la dignità di persona e di “ homo faber”. Anche lei non è esente da questi concetti. Non li chiami “diritti”. Diciamo “possibilità”. Come si intuisce e comprende lei non ha mai lasciato un lavoro sicuro per dedicarsi a tempo pieno alle sue idee. È qui che sta la differenza. Forse lavorava tutti i giorni come programmatore con la testa e pensieri da “un’altra parte”?
Chi è “causa del suo mal… “ mi sembra un po’ offensivo nei confronti di chi si è messo in “gioco” con il coraggio delle proprie capacità. Lei si mette in gioco con il coraggio di una pensione garantita. Adesso comprendo perché si definisce il “ Boomer”, adesso mi è chiaro.
Non che questo cambi qualcosa. Cambia quando ci si “rapporta” con i giovani, con gli artisti, che cercano una loro strada futura, possibilmente garantita da non si sa chi. È lei che è seduto sullo “scranno “, non ha più problemi “esistenziali”, può finalmente realizzarsi nei suoi hobby. Lo si “intuisce “ da come si rapporta con i suoi intervistati e relativi articoli. Sembra felice solo lei… che fa “informazione” . Opinione personale. Da titolo:” Di cosa possiamo parlare” lo chieda ai suoi intervistati . Forse nascono idee nuove e originali. MM