Un giorno di allegria annullato dalla retorica
Il Funerale della Saracca era tradizione samoggina
Pubblicato il 09/03/2025
Ormai rimangono solo i video di Millecolline a ricordare che un tempo esisteva in valsamoggia una tradizione secolare.
Per tanti anni nelle nostre terre di Valsamoggia, nello specifico nel borgo di Oliveto, si era mantenuta una tradizione secolare forse derivata da una breve occupazione spagnola: “El entierro de la sardina” ovvero Il Funerale della Saracca.
Un giorno, solo un giorno di ordinaria follia, non più consentito. Capite cosa si è perduto? Continuate a vedere solo coloro che ballano nel polverone delle risate a suo di musica alleggeriti dal vino? Ciechi.
Si dice che in tempi non tanto lontani del secolo scorso, nel periodo di fine carnevale, i contadini e abitanti locali trascorressero vari giorni in giro per le aie della valle a raccogliere vino e cibarie per poi poter allestire la festa di Oliveto; un carnevale festoso, satirico, liberatorio, dissacratorio in cui il vino raccolto veniva offerto gratuitamente per festeggiare insieme l’arrivo della primavera.
Una festa non comandata. Volete sapere com’era ancora in tempi recenti? A fine articolo guardate il video…
A seguito di un allegro funerale si seppelliva la saracca come simbolo dell’inverno ormai finito (la saracca era quel poco cibo che ci si poteva consentire oltre alla polenta) e festeggiare l’arrivo del clima mite che consentiva una vita meno grama con più possibilità di trovare cibo per sfamarsi.
Lo scarso sostegno all’organizzazione da parte delle organizzazioni locali unito al fatto che il comitato organizzatore si era assottigliato a causa di alcune naturali scomparse fece fare un cambiamento organizzativo della festa olivetana.
Furono altri, per misero un anno, ad interpretare il Funerale della Saracca a modo loro, riducendolo ad uno spennato straccio partecipativo.
Nell’ultima “RAPPRESENTAZIONE del Funerale della Saracca” mi fu risposto dal nuovo coordinatore che “quello precedente” (quello autentico) non era altro che un “rave party”.
Nulla di più ignorante di quelle parole potevano essere dette. Solo colui che non conosce le tradizioni locali, o meglio, che non le vuole rispettare, può pensarla così (infatti quell’organizzatore era uno che che veniva “da fuori”).
Infatti dopo quel primo, patetico e triste, insuccesso documentato dalla mia videocamera (ma non ancora montato per sdegno) del Funerale della Saracca non se ne è più parlato e più se ne parlerà. Contenti di questo risultato?
Così terminano le tradizioni che baccagliamo tanto di voler mantenere.
Ormai questo brandello di storia autenticamente samoggina è definitivamente, colpevolmente, ignorantemente perduto.
Erano centinaia le persone che arrivavano a festeggiare questa tradizione, colpevolmente bistrattata dai samoggini stessi, giungendo a questa festa da luoghi impensabili, avendo un successo che nessuna delle feste locali dei nostri ex-Comuni nemmeno si sognavano e si sognano tutt’oggi.
Colpevoli di fare festa nel modo più libero possibile, colpevoli di stressare per un giorno i difensori grigi del bel pensiero, corretto e assssssertivo.
Roberto Cerè
Concordo, in sostanza non abbiamo piu’ chiaro in mente per cosa viviamo, e per cosa muoriamo, in senso lato, e cosi’ inconsapevolmente ci stiamo riconsegnando all’ oscurantismo, poi al bellicismo, forse per ripetere, ad iniziare dal disastro di una guerra, e dal delinearsi di un nuovo Nemico, quel processo si catarsi sociale che ristabilisca una via di fuga, un nuovo ricorso storico, ridia alla liberta’ il valore che ora, nella impalpabie paura di perdere qualche potere economico, ci appare come un problema essa stessa. Ma e’ uno schifo, alla soglia dei 60, vivere tutto questo. Capire che all’atto pratico, siamo veramente soli. Chiunque ami in qualche forma la propria vita e’ destinato alla solitudine, si possono amare solo glio oggetti e il denaro, e han senso solo le reti e l polizia, le banche, l’economia, l’edilizia, i carrarmati (e la loro versione popolare, l’automobile. Ed e’ vivo solo cio’ che romba, che urla, che spara e strazia, mentre una giornata di serena follia e’ un crimine, se non patrocinata da un qualche potente.
Bello l’articolo. La saracca (pesce azzurro “sardone” conservato sotto sale), appeso al soffitto come un lampadario, ha sfamato anche i contadini della bassa emiliana. Da noi non era “pesce veloce del baltico” il merluzzo. Non viene menzionato che le famiglie dei contadini erano numerose, con 6-10 figli più gli anziani, i vecchi. Tutti senza scarpe e a piedi nudi. La saracca doveva sfamare tutti . C’era chi viveva nella povertà e chi nella miseria. Adesso i giovani hanno di tutto e di più per “sfamarsi”. Se qualcuno lo paragona a un “rave” ci può stare…
Mi è piaciuto il commento di Chicchi: “ non c’è un cazzo ma c’è tanta gente.
Il problema è che se viene paragonato ad un rave party lo si relega ad un incontro di sregolati e drogati da cui stare lontani; quindi è un modo per allontanare le persone dal partecipare per farsi una opinione e conoscere ciò che di proprio identifica questa tradizione. Un po’ il modo che il mainstream adotta per fidelizzare chi gli crede…
Roberto
Quanti dei giovani intervistati, e non solo, nel video sanno cosa è la “saracca”? Mi fanno “un po’ pena”. Parlano mostrando uno spiedino e un bicchier di vino rosso, o un “niente” come risposta. Ci sono due tipi di “sballo” , il primo è di quelli che hanno patito la fame e festeggiano la fine dell’inverno, i vecchi, il secondo è di quelli che la fame e la povertà non l’hanno mai vissuta e conosciuta, i giovani. Sono solo dei “guastatori” di feste della nostra tradizione. Non abbiamo bisogno di gente del genere. Sminuiscono quello che c’è di vero e di vissuto senza imparare o condividendo la nostra tradizione.
Concordo su diversi punti al pensiero di Francesco.