Editoriale della domenica
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 27/10/2024
Passata la tempesta odo augelli far festa…
Non è stato così a Bologna dove le tumultuose acque che scorrono sotterranee, per la gioia dei turisti, sotto un’incessante pioggia, nella notte tra sabato 19 e domenica 20 ottobre, hanno alluvionato un quadrilatero di bellezze artistiche e di prospera produttività artigianale ed economica. Luoghi amati e ricchi di tradizione popolare e nobiliare.
Da via Andrea Costa a via Riva Reno, San Mamolo fino a via Saragozza e zona Saffi ed altre realtà periferiche, in pochi minuti sono state invase, travolte, letteralmente, alluvionate dalla violenza del fiume Reno e del torrente Ravone che attraversano la città e che in una diabolica sinergia hanno allagato e cancellato case, negozi, cantine e garage e ricoperto di fango le strade ed ogni inerte presenza.
Non intendo fare la cronaca di questa immane catastrofe in tempi di diffusa cultura tecnologica e scientifica, perché desidero riflettere sul disinteresse generale che incide sulla nostra esistenza e sulla cura che si dovrebbe avere verso ciò che ci appartiene.
Siamo ancora un popolo che vive in modo fatalista, si affida alla clemenza climatica, in particolare alla risorsa principe del sole, delle belle giornate, da vivere nella spensieratezza, negli svaghi che si ripetono da millenni e che mostrano un preoccupante grado d’immaturità dai governanti ai cittadini.
In fondo si vive in una perenne giostra, pensando che tutto sia a nostro servizio, immobile nell’usura e rassicurante per ogni utilità sia essa civile o religiosa.
Siamo il paese d’o Sole, il bel Paese che, come le cicale, ripetono senza memoria, ma meccanicamente il loro frinire e noi la nostra inesauribile voglia del rinviare perché abbiamo altre esigenze, anzi, voglie ed ambizioni da soddisfare.
E nessuno di preoccupa che noi, la nostra vita, dipende, da sempre, dalla Natura e da ogni fenomeno ad essa collegata e provocata.
L’uomo ha sfruttato la Natura per il proprio benessere, oggi per insane operazioni speculative, senza considerare che creare inevitabili squilibri, come tagliare gli alberi, anche in città, si attivano processi fratture ecosistemiche.
Ma questi fenomeni non sono solo frutto di abusi irresponsabili sulle risorse naturali, questi fenomeni sono dovuti a quella forma di fatalismo di cui parlavo all’inizio di queste sintetiche riflessioni.
Sono frutto dell’incuria dell’uomo, del non costruire piani di prevenzione su ogni territorio abitato e non.
Abbiamo letto in questi giorni di tutto: dal riscaldamento dell’Adriatico alle trasformazioni climatiche, per cui la semplice tempesta leopardiana oggi viene definita uragano o nubifragio e non ci sono uccelli che cantano, la vita non ritorna al suo solito operare, ma si elevano grida di disperazione, di rabbia, di incredulità perché tutto questo, a distanza di pochi mesi si sia ripetuto, con distruzioni ancora dei propri beni e di morti.
Qui deve tacere la politica. Qui non si devono rimbalzare le responsabilità: esistono competenti uffici territoriali e nazionali e questi devono provvedere al pieno risanamento del nostro patrimonio idrogeologico e piena rassicurazione per la coltivazione, la fabbricazione e la tranquilla vivibilità delle nostre città attraversate da fiumi o torrenti: da Torino a Genova, Bologna, Firenze, Roma, Cosenza, Catania (solo alcuni nomi, per esemplificare).
Ho visto il 19 e 20 ottobre una Bologna che non conoscevo, che aveva l’aspetto di una città morta, uccisa dall’acqua e dal fango.
Lodevole la presenza degli studenti che spontaneamente partecipano a ripulire ed alla veloce ripresa della vita, ma, nel frattempo, si registrano i danni irreparabili di tanti cittadini che hanno perduto tutto (compreso la casa).
Migliaia gli sfollati ed il rischio è la cancellazione del volto di una città che vantava primati illustri, compreso la conservazione e valorizzazione del Centro storico e la continuità delle proprie tradizioni, anche se minacciate dalla insana operazione dei Centri commerciali e dell’obbligato consumismo dei vuoti a perdere e della cultura gastronomica.
Bologna da tempo era sotto pressione da numerosi cantieri e delicate operazioni di ristrutturazione ambientale (come in via Riva Reno: una delle strade storiche più colpite).
Questi sventramenti hanno reso permeabili ed indifesi i terreni ridotti a groviere.
Pertanto non accettiamo scuse, non possiamo ascoltare politici di ogni colore che accusano l’inesistente, ma dobbiamo sperare che questa ennesima tragedia sia motivo di cambiamento di mentalità e di responsabilità di tutti coloro che sono preposti alla prevenzione, alla protezione, alla programmazione, [alla manutenzione. NdR] agli investimenti necessari perché la cura fisica dell’intero territorio nazionale divenga, dopo il diritto al lavoro, il secondo obiettivo civile e sociale per la sicura convivenza e la difesa dei beni individuali e collettivi.
E così potremo riascoltare “gli augelli far festa”.
Franchino Falsetti