EDITORIALE Millecolline. Sembrava che dovesse tutto cambiare

Editoriale della domenica

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 23/06/2024

Sembrava che dovesse tutto cambiare

A quattro anni dall’inizio di una devastante pandemia (Covid-19) e forse tra le più destabilizzanti dei più progrediti sistemi della vita moderna altamente tecnologizzata, e non del tutto debellata, è opportuno guardarsi attorno e procedere in modo deduttivo cercando di capire cosa stiamo facendo, cosa è cambiato e cosa potrà ancora accadere.

Possiamo partire dagli allarmismi degli esperti e tecnici ricercatori che hanno occupato tutti i mezzi di comunicazione di massa bombardandoci quotidianamente sulle disastrose conseguenze del virus e pronunciando spesso, amplificato sempre dai massa media, il terrificante messaggio che il “mondo non sarà stato più lo stesso “.

Quattro mesi segregati in casa, il mondo ci era crollato addosso.

Si teorizzava che l’uomo riscopriva il piacere delle piccole cose, riprovava esperienze dimenticate, riascoltava il silenzio, l’immobilità suggeriva la lettura, il piacere della casa, mentre si riducevano i consumi, la globalizzazione crollava nel mondo industrializzato, gli studenti non frequentavano le scuole, le fabbriche venivano razionalizzate, le imprese fallivano, fiumi di licenziamenti, il mondo del lavoro veniva letteralmente appiattito e modificato strutturalmente.

Ci si è affidati all’informatica, all’uso multimediale del computer, mentre si negavano ogni rapporto umano, ogni incontro di comunità, ogni esperienza di socializzazione e di dialogo diretto.

Ogni giorno si davano i numeri delle morti inconfutabili che generavano paura e terrore.

Quando si cominciò ad uscire sembravamo degli zombie e tutti avevano maturato l’onda lunga dell’untore: come se fossimo in piena guerra, i consigli, le raccomandazioni e poi i vaccini obbligatori come pass necessari per riprendere i contatti sociali ed il ritorno nei luoghi in cui consumare la nostra quotidianità.

Una ripresa lenta e distopica.

Certo per molto tempo abbiamo sofferto della mancanza delle nostre abitudini e della nostra libertà: muoversi vincolati alle restrizioni è stata la prima e terribile sensazione che il mondo non sarebbe stato come prima.

In poco tempo la crisi di Civiltà e  la strage di vittime dell’epidemia divennero i nuovi presupposti per cambiare radicalmente i nostri modelli di vita ed i modelli di pensare e produrre.

Si parlò e se ne parla di una nuova fragilità psicologica, soprattutto, nel mondo giovanile, già deprivato delle legittime aspettative, si sono trovati abbandonati sulla deriva dell’impotenza della ricostruzione della propria sfera affettiva, valoriale e di maturità personale.

“15 marzo 2020, Usciti dal frastuono del troppo, vediamo più chiaro. Si ascolta la radio come fosse Radio Londra. La tv irrita: è caos ansiogeno” e lo scrittore Paolo Rumiz continua; “Ho sempre riempito taccuini viaggiando. Ebbene, da quando la mia libertà di movimento è finita per via della peste, pensieri nuovi escono a torrenti. Pensieri da fermo. Così tanti che devo fissarli in un quaderno. Metto a bagno i fagioli e penso. Guardo dalla finestra e prendo appunti. Impasto farina e lievito e scrivo. Usciti dal frastuono del troppo, vediamo più chiaro”.

Un diario da fantascienza. Un incipit per un romanzo fuori tempo. E così le mille confessioni lette sui giornali o seguite sulle varie interviste radio televisive.

Non era un’ipotesi della diversità. Eravamo caduti in un baratro che non aveva confronti, anche se qualcuno ricordava la peste manzoniana o la terribile “spagnola” (oltre 50 milioni di morti) e tutte le nefaste epidemie registrate nella storia dell’Umanità.

Un mondo difficile da capire e d’accettare. Le ristrettezze non si comprendevano. La rassegnazione era solo apparente. L’uomo contemporaneo non voleva ubbidire a nessuna regola.

I costumi modificati e mercificati non potevano subire nessun arresto coatto.

Una volta aperti i varchi delle “uscite di sicurezza”, le limitazioni vissute si fecero sempre più evanescenti e l’uomo tecnologico ha ceduto il passo all’uomo consumatore, al ritorno delle abitudini alienanti come gli incontri gastronomici, di ritorno ai brindisi di strada, ai ristoranti, ai bar, alle grandi “abbuffate”.

Il senso della depressione e della rinuncia per la sopravvivenza si scioglievano di fronte ad un piatto di tagliatelle ed un bicchiere di pignoletto. Si riaprirono di nuovo i negozi, i luoghi di divertimento, gli appuntamenti ricreativi e le serate all’aria aperta dove riproporre le stesse cose inventate dal progresso e dalle mode del divertimentificio.

Mentre eravamo ancora nel pieno degli effetti della pandemia il mondo delle Civiltà assisteva all’invasione Russa dell’Ucraina. Una guerra che ha già superato i due anni e di cui non si possono fare previsioni sulla sua durata.

E poi la guerra tra Palestina ed Israele, tuttora in corso, che ha diviso il mondo in senso ideologico e riproposto l’antisemitismo.

I paesi europei puntano sul ritorno di vecchie culture reazionarie e di inveterata rivalità, trasformando la Comunità europea in una sorta di pura aggregazione geografica e di controllo del mercato dei rispettivi beni economici e produttivi.

Nelle nostre scuole non esiste un programma di cultura europea. Non ci si forma come cittadino europeo. Gli studenti non sapevano neppure delle elezioni recenti per il rinnovo del Parlamento europeo.

Durante il focus epidemico i governi hanno compiuto  atti di stranezze ed adottati provvedimenti alla Bertoldo.

Non sembrava di vivere nel XXI secolo, ma nel più buio Medioevo, quello impenetrabile dalla sovranità dell’ignoranza.

Triste le conclusioni di questo periodo ancora non finito ed altrettanto triste che il mondo non sia cambiato. Si sono create situazioni artefatte, qualche mascheramento ed adattamenti illusionistici, ma di fatto siamo tornati come prima e più smarriti di prima.

Erano importanti i borsini del mercato, delle forme di ripristino dell’industria del Turismo, della vacanza (breve o lunga), della ristorazione nelle varie specialità e riprendere la cultura gastronomica dei Centri commerciali e l’incremento alla destrutturazione delle città tradizionali, testimonianze di storia e di arte.

In questo periodo hanno pensato di sconvolgere le città, per renderle luoghi di divertimento, luoghi di decentramento culturale e sociale, luoghi per una disunità dell’educazione e formazione della tradizione della Civitas.

Il sonno della Pandemia ha provocato i nuovi mostri che saranno i nuovi virus di un mondo che non sarà.

                             

                                                                                                                           Franchino Falsetti

 

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