EDITORIALE Millecolline. La cultura non è uno spot pubblicitario

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 13/08/2023

La cultura non è uno spot pubblicitario

Nell’epoca del “tutto si tiene”, nella rapida sostituzione tra chi non sa ma insegna, nel aver eliminato la parola studioso con opinionista, nel rendere la parola spettacolo e spettacolo la vocalità della parola, nel sostenere che il pensiero è sinonimo di disordine, di operatività, di dittatura del nostro esprimere, del nostro comunicare, del nostro relazionarci, abbiamo negato le “consegne” ricevute dall’epoche precedenti ed abbiamo trasformato la nostra Vita ed i suoi complementi in un Varietà fatto di monologhi senza parole.

Dove tutti sono attori e molto spesso sono imitatori senza professione che cercano   un ruolo con una propria sceneggiatura.

La scrittrice Dacia Maraini, di recente ha scritto su La Stampa (5 agosto 2023), noto quotidiano, a tiratura nazionale, un articolo dal titolo:

La cultura non è questione di potere sta al pubblico decidere chi ha talento. Prendendo spunto della “fretta nel sostituire i vertici del Centro Sperimentale (di Cinematografia andava precisato), questa furia di occupare tutti gli spazi culturali esprime una ansia un poco ingenua e infantile, quasi che la cultura fosse una questione di bandiera”. Anche la Maraini vuol dire la sua: si sente una protagonista storica, ha ereditato un posto al sole, e, quindi, può sentenziare che non esiste una dittatura della cultura della sinistra, esistono idee, rispetto della libertà e della parola.

Per non parlare di dittatura della destra, la scrittrice nel finale del suo commento, così continua: ”A chi sta al potere chiederei solo rispetto per chi crea, inventa, fantastica, e lavora con le immagini o con la parola. Si lasci decidere al pubblico chi ha più talento e capacità di comunicazione. Non sarà un posto di potere in più a cambiare l’intelligenza più originale dei nostri tempi”.

Non valgono i contorni ed i richiami alla democrazia, al ruolo degli intellettuali, al mondo dell’editoria e della cinematografia.

Da queste considerazioni, sopra riportate, abbiamo l’ennesima prova di quella superficialità e di quei cascami scolastici o di antiche frequentazioni di quando sedevamo nella nobile Via Veneto.

La cultura non è un fatto sindacale e non costruisce alcuna rivendicazione.

Le frette governative non vanno commentate, semmai controllate e discusse per quello che riguardano i programmi, e, soprattutto, la qualità. Questa parola che non appare nell’articolo della famosa Maraini.

Che cosa significa che il pubblico sceglie? Che il pubblico è l’unico attore che può decidere chi ha talento? Allora la cultura è solo uno spot pubblicitario: prevale il gradimento del pubblico. Come fa il pubblico a scegliere? Quali strumenti tecnici, culturali, di conoscenza possiede? Pensa per caso al pubblico seduto sui gradini delle chiese nei vari Festival gastronomici sparsi per l’Italia? E poi quale pubblico? Quello degli studenti fuori corso? Quelli che non conoscono una parola della nostra lingua, anzi la stanno deturpando per cui l’italiano sta cambiando nelle sue espressioni, pronunce ed inflessioni? O di coloro che confondono i soliti mezzibusti per uno spettacolo di burattini di fine stagione?

Il popolo, oggi, non è demos. Il popolo italiano, nelle statistiche tocca il 48% di analfabeti di ritorno e funzionali. Fortissimo è l’abbandono scolastico e la diaspora dei docenti. Il problema in Italia nel tempo della post Pandemia e post globalizzazione è il vettovagliamento, è aver una casa, un posto di lavoro fisso, il famoso reddito di cittadinanza.

C’è bisogno di una nuova locomotiva Italia che riparta per poter, davvero, parlare di benessere comune e di nuove tranquillità sociali.

La cultura non è un’invenzione del mago Zurlì ed il pubblico deve essere educato e formato per saper vedere uno spettacolo (di qualunque genere), per saper ascoltare un’opera lirica o classica, per conoscere uno strumento musicale, per saper leggere un libro, per saper leggere una poesia, per saper esporre un problema, per saper argomentare e discutere temi che riguardano i propri diritti, le proprie necessità, il proprio futuro.

Avere cultura non vuol dire neppure essere seguaci di Epicuro e neppure essere un uomo di scienza, vuol dire poter frequentare Scuole in cui l’educazione e l’istruzione procedono insieme e considerano la realtà non in modo astratto o fantasiosa, ma come motivo di investigazione della realtà, di conoscenze multi disciplinari e di specifici approfondimenti.

Una scuola formativa dove lo studente diventa protagonista del sapere, del suo inserimento nella Società, nella comprensione critica del mondo in cui vive e nel rispetto dei suoi patrimoni archeologici, museali, monumentali e di espressione culturale tramandata nei secoli fino a i giorni nostri (compreso le testimonianze artistiche e valoriali  contemporanee).

Franchino Falsetti

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