Editoriale
L’Editoriale Millecolline
Pubblicato il 04/12/2022
La ricreazione è finita
Prendo a prestito questa famosa battuta di De Gaulle per invitare gli studenti manifestanti e contestatori del maggio francese a tornare in aula, per riproporla, con maggior intensità semantica, nel vivo delle polemiche sollevate da una certa parte politica, autodefinitasi egualitaria e progressista. Non mi sento di definire questa orda ondivaga di sinistra. Una “sinistra” che da tempo ha perso la sua identità e che sopravvive, nominalmente, perché ha, da tempo ha assunto, forme di collettivismo e di agglutinazione di varie mode esterofile, di retaggi ideologici imbiancati e di eccessi di protagonismo finalizzati alla carriera ed al potere di bottega.
Ciò che preoccupa e dovrebbe preoccupare che se la scuola di oggi è l’immagine sgarrupata del famoso maestro napoletano D’Orta, non è colpa dei soliti cambiamenti generazionali, ma non è che lo specchio dell’inerzia, insipienza, incapacità, di ci governa sia in Parlamento, sia nei settori governativi locali e decentrati. È ovvio che ci siano le eccezioni, ma queste non rappresentano la società italiana, né tanto meno il popolo italiano. Nessuno discute, per esempio sulla stampa o nelle farse salottiere, come si diventa professore in Italia, come si diventa manager, come si diventa industriale, come si diventa dirigente, come si diventa avvocato, come si diventa magistrato, come si diventa artista, musicista, attore, letterato, scrittore, filosofo e politico. Non ho mai ascoltato nessun dibattito in proposito con validi esperti e conoscitori in senso classico del termine.
Come nessuno ha aperto un dibattito sulla stampa nazionale o regionale, nonché su quella cosiddetta specialistica.
Siamo tutti inventori della nostra professionalità o del nostro mestiere. Nel passato ci furono dei tentativi attraverso la scuola professionale e poi nulla (nessuno la voleva e fatta in quel modo non serviva a nessuno. Era un modo per dilatare l’entrata nel mondo del lavoro).
Ma nel frattempo siamo stati bravi nel promuovere, contestare, legiferare riforme che cancellavano le precedenti eliminando, di volta in volta, l’intero lessico che aveva fatto la storia della pedagogia e dell’istruzione per vari secoli: dalla disciplina, alla selezione, dall’emulazione – competitività, al merito, formalizzare i voti espressi in numeri decimali (da o a 10 / da 18 a 30), dal nozionismo all’analisi, dalla descrizione all’argomentazione, dal riassunto alla sintesi, dall’analisi logica alla consecutio temporum, dalla conoscenza del latino alle strutture grammaticali e sintattiche, dalla scuola dell’obbligo alla scuola d’indirizzo, dal saper conoscere la nostra storia e le nostre tradizioni attraverso lo studio della lingua, della storia, della geografia e della letteratura italiana.
Un piccolo quadro non per definire un recente passato che la moda importata rivolta alla semplificazione, alla riduzione, al permissivismo, a rendere tutto come fossimo puzzle da incasellare, per cui nessuna visione organica ma frammentata, ha provocato da un lato lo specialismo e dall’altro la settorialità e quindi l’incapacità di vedere un problema, qualunque problema in modo investigativo, risolutivo attraverso le molteplici modalità interpretative e multi disciplinare. In questi ultimi decenni illustri pedagogisti hanno sperimentato, teorizzato modelli cognitivi (definitivi tassonomici) che non hanno sviluppato la mente di nessuno. Hanno teso a denigrare i modelli precedenti (definendoli anch’essi fascisti, autoritari, privi di sviluppo della personalità infantile e poi adolescenziale -giovanile), così come accade oggi con il “metodo Montessori”. Divenuto in questi ultimi anni il sistema pedagogico da conoscere, da praticare, da imporre in tutte le scuole italiane!
L’intera opera viene diffusa ed abbinata a testate giornalistiche nazionali e vengono pubblicati persino i quaderni da consegnare ai bambini, quegli stessi che fino a qualche decennio fa erano conosciuti solo da chi frequentata l’Opera montessoriana. Quanti pedagogisti di sinistra (allora comunisti) inorridivano di fronte a questo “metodo” e quanti fiumi di parole sono state scritte per contrastarlo, perché, sotto sotto, anch’essa era vissuta ed aveva concepito tale metodo durante il periodo fascista. Ma adesso è divenuto un oggetto commerciale, un modello educativo e formativo intelligente, importante che valorizza il bambino nella sua spontaneità, creatività e libertà. Si cercò anche di scardinare il sistema scolastico e formativo gentiliano (Riforma Gentile del 1923), ma ha resistito e continua a sostenere l’impalcatura dell’Istruzione italiana. Una quercia che i progressisti hanno trasformato in un albero natalizio, pieno di stelle filanti e palle colorate di varie dimensioni, a seconda dei ministri che hanno ricoperto la responsabilità del Ministero dell’Istruzione, senza cambiare nulla, senza fare nessuna rivoluzione meritevole per gli eventuali cambiamenti.
Vorrei ricordare: la riforma universitaria Gui della fine degli anni sessanta (che fece dell’Università una palestra di concessioni antiaccademiche e liberalizzazioni per gli studenti ed i docenti ad libitum). Si aprirono, senza limiti o prove d’ingresso, gli accessi alle Facoltà, si inventò il piano di studi fatto dallo studente e firmato dal docente, si declassò il ruolo dell’Università che da studiorum passò a laboratorium. Un centro di creatività privo di scientificità, di severe prove sulla coscientizzazione del sapere e delle conoscenze.
Una Università libera dove la laurea vale per il luogo nel quale si è scritto. Si sviluppa la tendenza del fare sa sé: ci ci laurea da soli e le lezioni sono conferenze d’intrattenimento e relativismo verso la realizzazione del pensiero unico e della cancellazione della cultura.
Si arriverà alla grande riforma del 3+ 2 (che suscitò un fronte di illustrasti oppositori, al punto di scrivere un libro, oggi introvabile, ma già lungamente perseguitato, dal titolo “3+2 = zero “.
Mai un titolo sintetizzò questa nefasta riforma in modo così efficace e giustamente severo. La laurea magistrale è una “boiata pazzesca” come la corazzata Potemkin. Fu un regalo di una certa decadente baronia come omaggio alla fine del XX secolo ed auguri di nuove prospettive per il nascente XXI (novembre 1999, n. 509 del ministro Ortensio Zecchino). Si creò la laurea triennale e la laurea specialistica.
Col governo Prodi, segui la riforma Belinguer (ex Rettore) che cercò di riordinare il sistema scolastico, solo per preparare un cartellone da cantastorie. Nulla di quanto previsto è stato realizzato.
Pertanto la Scuola Italiana si muove in alto mare e senza Nocchiero.
Ma è sufficiente cambiare nome al Ministero ed aggiungere alla parola Istruzione anche quella di Merito che si irrompono, come le cavallette africane, le nuvole devastatrici e tutti si sentono in dovere
(competenti e non, giornalisti, e falsi filosofi, politici incapaci e molti pentiti) a disquisire sull’inopportunità di questa aggiunta, perché il “merito” non esiste, anzi, è un’arma borghese per un ritorno a criteri valutativi e selettivi. Così pure vale per il lapsus del nuovo Ministro che volendo parlare dell’umiltà come valore propedeutico agli insegnamenti della vita e del buon esercizio delle proprie capacità, è uscito “umiliazione”. Altre infinite congetture e corbellerie per sostenere che sia l’una versione che l’altra sono da rigettare perché non ci si umilia per esprimere la nostra personalità e non c’è bisogno di umiltà per sapersi relazionare con la conoscenza e con la comunità.
Vorrei che questi “santoni” divenissero più umili e meno arroganti e che le loro opinioni rappresentassero un semplice contributo e sempre con umiliazione (non servile) ma di rispettoso comportamento, sapessero cogliere il senso “semantico” e non politichese di ciò che un Ministro (tra l’altro noto studioso e professore universitario) esprime ad alta voce.
Il merito non è un “ansiolitico”, è una realtà ed obiettivo disperso da molto tempo. Sono decenni che viviamo “tutti uguali”, “tutti creativi”, “tutti artisti”, “tutti scrittori”, “tutti poeti”, “tutti attori”, “tutti giornalisti”, “tutti professori”. Io aggiungo senza vergogna, senza alcuna reputazione, senza capacità, senza alcuna Cultura, senza Merito.
IL Merito è la cartina tornasole di ciò che uno sa davvero, delle sue provate e competitive prove sostenute nella scuola e nella vita professionale. Il Merito è il passepartout per non sentirsi eternamente raccomandato, selezionato per bellezze, per simpatie e servilismi.
La carriera (vecchio stile) non è morta. E’ risuscitata con il curriculum (che non dice nulla se non fornire una servile richiesta per quantificare il numero delle obbligate prestazioni a pagamento, che i concorrenti devono sottoporsi e far notare come dopo i regolari studi si siano collezionati importanti cocktail party ed happy hours a volontà).
Alla fine essi entrano nel mondo lavorativo non per aver studiato ma perché “facendo s’impara”. I politici d’oggi ne sono i grandi maestri. Mentre scrivo la manovra economica penalizzerà la Scuola con ingenti “tagli”. Si prevedono la chiusura di 700 Istituti in tutta Italia.
Mentre si disquisisce in modo insipiente sul “merito”, sulla “umiltà”, sull’”umiliazione”, il Governo, come tutti quelli che lo hanno preceduto, non si preoccupa della Cultura, dell’Educazione e dell’Istruzione degli Italiani, ma, in nome del rinnovato capitalismo, industrializzazione, globalizzazione da ripristinare al più presto, insomma, nell’ennesimo trionfo dell’Economia produttrice, sacrifica l’istituzione fondamentale che ha il compito di formare, consapevolmente, i cittadini di oggi e di domani. Sono i soli 30 denari di Giuda.
“Oggigiorno i giovani non vengono più allevati, ma si limitano a crescere. Sono circondati da educatori onnipresenti: a partire dalla televisione sino alla rappresentazione patinata del benessere del nostro paese, alle lusinghe della società dei consumi o a quei modelli di mediocrità spirituale e caratteriale incarnati dalla nostra “élite”. (Bernhard Bueb, Elogio della disciplina, Rizzoli, 2007)