Domenica è sempre domenica: perché ricordarla?… [n.18]
Tempo fa, era di domenica, sono entrato in una chiesa del centro di Bologna. Si stava officiando il rito festivo e vi era un apparente atmosfera di raccoglimento e di devozione. Un abbaiare di cane e bambini vocianti irruppero improvvisamente. Girandomi ho notato che erano entrate delle coppie di giovani, vestiti come se andassero ad una sagra di provincia, con cane e bambini scorazzanti e saettanti sul “passeggino”.
E a nessuno interessava quanto accadeva sull’altare. Erano entrati per una sosta, per un diversivo, per un ridicolo ed inutile atto ereditato ma mai praticato. Una vera sorpresa per non dire inquietante delusione. Osservando altri “fedeli” notavo delle similitudini con i giovani incursori.
Tutti, tranne qualche “anziano”, erano liberamente vestiti, i loro volti non mostravano alcun segno di partecipazione religiosa ed osservante. Aleggiava una certa noia : lo sbadiglio del giorno festivo. Una parentesi coatta di una giornata come tutte le altre. Sì perché oggi il calendario non si legge, anzi, non lo si conosce più. Non è il nostro tempo “metaforico”, fatto di pensieri, annotazioni, evocazioni e sentimenti.
Oggi, la realtà virtuale ha cancellato anche queste piccole cose, dove anche una semplice illusione o stato d’animo non ci appartiene, non è più linfa vitale per rinnovare la cadenza dei giorni, delle settimane, dei medi e degli anni.
Tutto si è appiattito. Tutto è stato messo, come si diceva un tempo, nel dimenticatoio. Eppure, senza commettere “atti impuri”, vorrei ricordare cosa era la domenica qualche decennio fa. Era il giorno più atteso della settimana.
Non esistevano week end, ponti vacanzieri ( improvvisati o calcolati ), il sabato prefestivo, insomma la settimana corta, anzi,cortissima. Era il giorno dove ognuno sognava di mettere qualcosa di nuovo, di vestirsi con l’abito della festa e di sognare di vivere, soprattutto, nel calore della famiglia e degli amici le ore più felici della giornata e della settimana trascorsa. Era il dimenticare ogni affanno quotidiano. Il sentirsi, finalmente, sereno, con un altro spirito : quello della domenica!
Anche la “tavola” si apparecchiava con tovaglie profumate e pranzi unici della domenica: giorno sognante al suon delle campane delle chiese in festa, appositamente, addobbate come si conviene nel giorno dedicato al Signore. Una giornata particolare, che con la sua retorica mescolata di buonismo e di sano consumismo, teneva ancora unita la famiglia ed un certo mondo che volgeva, inesorabilmente, sotto i colpi di boom economico omologante, al suo inesorabile tramonto.
Ma è certo che se oggi ci fosse un po’ di quella genuina e “patriarcale” esperienza, dove tutta la famiglia si recava in chiesa ed al pomeriggio nell’agognato cinematografo, avremmo una certa continuità ed un modo diverso di essere e di credere.
L’appiattimento dei costumi, l’egualitarismo consumistico, la cancellazione delle diversità ( culturali e delle tradizioni ), rendono la partecipazione ai riti religiosi e civili insignificanti, un semplice diversivo da aggiungere ad uno spot pubblicitario. L’età dell’immagine ha atrofizzato il nostro pensiero, la nostra educazione, la nostra formazione.
Può sembrare nostalgico e fuori luogo ricordare quel particolare momento della vita italiana, quando l’entusiasmo della “rinascita” dalle tragiche rovine della seconda guerra mondiale, in un clima di illusoria gioia per combattere le tribolazione della quotidianità, dal famoso programma :
“Il Musichiere”, il grande Mario Riva cantava, con la sua contagiosa simpatia, un motivo musicale molto orecchiabile e di chiara sintesi ideologica, per una nuova italianità:
“Domenica è sempre domenica” (1958), di cui trascrivo, le strofe di maggiore richiamo:
“Domenica è sempre domenica
si sveglia la città con le campane.
Al primo din-don del Gianicolo
Sant’Angelo risponde din-don-dan.
Domenica è sempre domenica
e ognuno appena si risveglierà
felice sarà e spenderà
sti quattro soldi de felicità”. […]
Franchino Falsetti
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