LEGGERE L’ARTE SENZA CONFINI. Istruzioni per l’uso: perché nulla si disperda!
Le opere d’arte sono inalienabili? Possono essere considerate oggetto di merce, di vendita, di guadagno ?
Mi sono fatto queste domande dopo aver letto alcuni episodi di cronaca giornalistica che hanno caratterizzato la solita fiamma della curiosità che, rapidamente, si spegne nel giro di ventiquattro ore. Intendo riferirmi al questione della “mobilità” delle opere d’arte ed a quella della inalienabilità ( non vendita ) di capolavori che appartengono alla storia delle Gallerie o Musei che li detengono. Queste notizie sono state oggetto di qualche presa di posizione e qualche polemica che hanno, momentaneamente, richiamato ed evidenziato un problema che non può essere risolto per slogans o per riduttive opportunità.
L’ultimo “fuocherello” ha visto come protagonista il Sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, che agli inizi del mese di ottobre u.s. avrebbe espresso il desiderio , per far quadrare i conti della sua amministrazione pubblica, di vendere due opere conservate nei Musei civici della città: un Klimt ( “Giuditta” – stima 200 milioni di euro ) e uno Chagall (“ Il Rabbino” – stima 80 milioni di euro ).
La motivazione sarebbe che queste opere sono estranee ed “inutili” al tessuto culturale della città. Il ministro dei Beni Culturali Franceschini ha risposto di no. Il critico d’arte Sgarbi, in una intervista rilasciata all’Adnkronos, ha voluto esprimere, invece, un parere favorevole, dicendo tra l’altro che: – “ Nessuno va a Venezia per vedere Klimt. Brugnaro ha fatto benissimo, la sua idea è davvero interessante e molto logica”.
Non voglio andare oltre, anche perché dopo un giorno di “scintille”, nessuno ha più ripreso l’argomento, né ci sono state altre considerazioni o prese di posizione. Questo tema, comunque, è presente, come quello della “inamovibilità” delle opere d’arte. Cioè non si vogliono spostare i capolavori dell’arte collocati nelle varie Pinacoteche o Gallerie o Musei per essere esposti in prestigiosi eventi artistici e culturali di risonanza nazionale o internazionale. Può essere curioso riportare alcuni brevi estratti da un lungo articolo, che apparve, sul n.10 del 1909 della diffusissima rivista italiana “Touring”.
“Contro l’emigrazione delle opere d’Arte”. Con questo titolo, l’autore Italo Bernardi, partendo da una positiva valutazione sull’ ”Industria dei forestieri”, che […] chiama fra noi gli stranieri a spendere per ammirare le bellezze italiane”, […] “ sono principalmente i nostri tesori artistici che suscitano il desiderio di visitare la penisola dando, con le bellezze naturali, al turismo un contenuto altamente educatore. Noi quindi dobbiamo sentire il dovere di non lasciare disperdere questo nostro glorioso patrimonio artistico”. L’articolo, molto documentato, affronta una serie di considerazioni e valutazioni sui maggiori capolavori dell’arte italiana, sottolineando che questo patrimonio non è solo da considerare come richiamo culturale al necessario “movimento” turistico per far amare e far conoscere i luoghi in cui queste opere sono conservate, ma per rendere queste immortali opere ( parliamo delle grandi e significative opere che hanno distinto le varie scuole dell’arte italiana ), come occasione per riconoscere nell’arte una particolare funzione educativa, che può facilitare e risvegliare una latente coscienza formativa, che può passare anche attraverso il contatto diretto, quasi fisico, con le bellezze artistiche. Questo riferimento che, indubbiamente, va contestualizzato nel periodo storico in cui veniva scritto e in cui erano ancora molto sentiti
I richiami ad una concezione, quasi risorgimentale, del sapere e di un certo modo di identificare l’arte con la patria, l’ho trovato ancora di viva attualità. Oggi non prevalgono più sensi di “amor di Patria” od una certa difesa dei valori e della valorizzazione delle culture locali, ma prevale il moloch mercato, che agisce come “pensiero” e non come “strumento”.
L’arte non può essere oggetto di merce, anche se la panacea per risolvere tutti i mali che ci affliggono nella frenesia del vivere contemporaneo, sia lo slogan che bisogna investire economicamente e monetizzare qualunque cosa ci circonda ( compreso la creatività, l’educazione, la formazione, i luoghi di aggregazione e di partecipazione ).
E’ un problema aperto. E’ certo che l’Italia, paese dei mille campanili , non deve essere relegata nel superficiale e riduttivo giudizio di realtà provinciale, ma pensare questi “mille campanili” come realtà dinamica, come risorsa culturale, inamovibile per la sua ricchezza valoriale e progettuale.
Cerchiamo di evitare che la “infetta” cultura della globalizzazione, non renda l’arte, espressione per eccellenza di libertà di pensiero, alla stregua di un “BOT” o ad un pacchetto “azionario”, rendendo la “Bellezza” delle opere d’arte, inequivocabile identità nazionale, un algoritmo variabile dell’economia contabile che determina l’amministrazione e l’organizzazione dei grandi o piccoli eventi, ormai, incontrollabili, che coinvolgono la politica dell’arte in Italia.
Non trasformiamo l’arte in un immenso cartello pubblicitario dove l’antico ed il moderno non si rapportano per i valori ed i contesti che esprimono, ma per le obbligate scelte suggerite dalle locali convenienze economiche e dagli investimenti richiesti dal mercato internazionale.
Franchino Falsetti
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