I preparativi, il Presepe, la Chiesa, la letterina al Bambin Gesù sotto al piatto di papà, l’aspettativa; tutto questo era stato il Natale degli italiani fino a quei giorni raccontati nel racconto di Falsetti.
Categoria: Franchino Falsetti. Sguardi incrociati.
Sguardi incrociati… divagazioni sulle parole ed immagini dell’arte.
Mirò! Sogno e colore
Mirò venne definito da Breton “il più surrealista dei surrealisti”, ma l’arte di Mirò rimane un “unicum non inquadrabile in una corrente artistica definita. Spregiatore dell’arte tradizionale rappresentativa, Mirò operò per decostuire gli archetipi che costituivano il suo universo mentale, arrivando al segno primitivista ed al colore simbolico.
Mostra – I colori di Tatiana.
Bologna 5 novembre 2016, GALLERIA D’ARTE DE MARCHI. In questa data si inaugurerà la mostra dedicata a Tatiana Malpezzi, curata da Franchino Falsetti. Abbiamo ricevuto e pubblichiamo in extremis l’invito a parteciparvi. Se avete intenzione di fare un giretto a Bologna oggi pomeriggio ora avete un motivo in più.
Nassim: una voce senza parole
A volte mi chiedo se sia vero che l’arte oggi sia, davvero, morta e che non solleciti più alcun interesse, soprattutto, tra le nuove generazioni.
Può sembrare una oziosa domanda, ma, invece, è qualcosa che va ricercata. In Italia, per esempio, moltissimi sono i giovani di ambo i sessi, che scelgono, senza mira alcuna, il campo dell’espressività, della comunicazione pittorica, dei vari stilemi della creatività artistica. Oltre alle scuole ufficiali pubbliche o private, moltissime sono le “agenzie” che promuovono iniziative di natura educativa o formativa dell’arte non solo in senso amatoriale, ma anche in senso professionale, con adeguate borse di studio, viaggi all’estero, scambi di esperienze e soggiorni di cultura. Un vero mondo di opportunità attorno ad un “occhio magico”, che si chiama: Arte. Non è l’Arte, però, che traccia il solco della tradizione, oggi, del trasmettere alle generazioni successive o, come si diceva un tempo, ai “posteri”. E’, invece, un ‘arte della contingenza, della necessità di vivere e di sopravvivere. Una scelta di vita, di libertà.
Una scelta per valorizzare la propria personalità il proprio universo interiore. Un modo per sentirsi rassicurati e per navigare nell’immenso mare dei cambiamenti epocali e delle incertezze dei nostri destini. L’arte che si trasforma, che cambia il suo “statuto” di immagini e di conoscenza. L’arte come linguaggio della quotidianità, della immediatezza, come “logo” del vivere in un perenne disordine. Tutto questo traspare dalle opere della promettente artista Nassim Hoharyar, giovanissima iraniana che frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Bologna e si sente un po’ bolognese.
Lo stile pop up le serve per essere incisiva nei suoi messaggi. Sì, perché questa artista usa l’arte come “scrittura”. Quella stessa che caratterizza la velocità delle lettere “figurate” della scrittura araba. I suoi soggetti sono le figure femminili, come metafora del desiderio del riscatto, della rivincita, del conflitto, della paura, della libertà.
Il problema femminile senza voce : questo è il segreto messaggio che si vuole affrontare. Il color rosso della passione, figure che sembrano specchiarsi in un infinto senza orizzonti, volti di donne dimezzate, sguardi senza rassegnazione, ma vuoti nella loro solitudine, sono le nuove immagini di un mondo perdente. Un mondo che non sa ascoltare, un mondo che non sa rispondere alle voci senza parole, perché è stata tolta la parola come fonte del dialogo, della comprensione, della comunicazione.
Nassim è una artista potenzialmente ricca di espressività nascosta, ancora non del tutto strutturata. I contenuti delle sue opere sono pieni di sentimento, ma hanno bisogno di non disperdersi nelle seduzioni dell’arte del consumo onnivoro o nell’arte corrotta e globalizzata del mondo occidentale. Nassim è “piccola ma crescerà” se riuscirà a mantenere la sua identità e la sua genuinità delle sue origini e della sua cultura, ancora, “incontaminata”.
Prof. Franchino Falsetti – Critico d’Arte
Produzioni Millecolline
Diritti Riservati
Hopper è a Bologna, a Palazzo Fava.
A Bologna dal 25 marzo al 24 luglio 2016, presso le meravigliose sale del Palazzo Fava, Via Manzoni 2, è visitabile una mostra di Edward Hopper, uno dei più significativi pittori americani del ventesimo secolo.
Hopper e le iconiche della modernità
Art di New York, a cura di Barbara Haskell in collaborazione con il critico d’arte Luca Beatrice. La mostra è composta di sessanta opere che mostrano le diverse realizzazioni tecnico-compositive e la prodigiosa abilità, anche, come disegnatore. Diversi sono gli “studi” ad acquarelli od a carboncini di riferimento ad opere di alto prestigio pittorico.
Si potranno ammirare alcuni capolavori come: South Carolina Morning (1955), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop (1909 ) e lo straordinario quadro intitolato Soir Bleu ( opera che ha quasi due metri di lunghezza ), simbolo della incomunicabilità e della alienazione umana.
La mostra di Hopper è stata articolata in sei sezioni, distribuite sui due piani del Palazzo Espositivo, tenendo conto di un ordine tematico e cronologico. E’ una sintesi che ci permette, in modo molto piacevole, di entrare nella poetica di Hopper, seguendone i vari periodi: dagli anni ’30 agli anni ’50, fino ad alcune incisive immagini della sua ultima produzione. Infine è possibile soffermarsi ed apprezzare alcune “composizioni preparatorie o studi” con l’uso abile delle diverse tecniche usate dall’artista: l’olio, l’acquarello, il carboncino e l’incisione.
Hopper pittore americano (1882-1967), famoso per la sua reticenza ed innamorato del suo luogo di nascita ( Nyack – piccola cittadina nello Stato di New York e la stessa New York dove si stabili dal 1913 fino alla morte 1967), uscì dal suo radicato e geloso mondo newyorkese solo tre volte, per recarsi in Europa ( dal 1906 al 1907, dal 1909 al 1910 ).
L’esperienza francese, soggiorni parigini, sarà quella che maggiormente segnerà la formazione dell’artista, sia per la realizzazione dei suoi maggiori capolavori, sia per un suo arricchimento culturale ed artistico.
Lo scrittore e critico d’arte John Updike , in un famoso saggio, definisce i quadri di Hopper : “calmi, silenti, stoici, luminosi, classici”.
La poetica di questa grande artista possiamo trovarla e ben sintetizzata con le sue stesse parole, scritte in una lettera inviata a Charles H. Sawayer, direttore della Addison Gallery of American Art (1939) : “ Per me figura,colore e forma non sono mezzi per raggiungere il fine, sono gli attrezzi con i quali lavoro, e non mi interessano in quanto tali. Mi sento attratto, soprattutto, dal vasto campo dell’esperienza e delle sensazioni, del quale non si occupa né la letteratura, né un tipo di arte meramente artificiale. […]
Il mio obiettivo nella pittura è sempre usare la natura come mezzo per provare a fissare sulla tela le mie reazioni più intime all’oggetto, così come esso appare nel momento in cui lo amo di più: quando i fatti corrispondono ai miei interessi e alle immagini che mi sono creato in precedenza. Perché io poi scelga determinati oggetti piuttosto che altri, non lo so neanche io con precisione, ma credo che sia perché rappresentano il miglior mezzo per arrivare ad una sintesi della mia esperienza interiore”.
Il suo immediato e sincero realismo evoca le sensazioni “epidermiche e sensuali” di certi impressionisti, a lui molto cari e considerati, come , per le opere di Edgar Degas, che gli suggerirono il modo di descrivere la semplicità degli “interni” e la spettacolarità delle “inquadrature” quasi di stampo fotografico.
Un elemento distintivo di tutta la sua opera è la luce , che crea non solo una magica presenza aurorale, ma permette all’artista una certa progettualità compositiva ed una particolare atmosfera della visione della realtà. Sono piccole sequenze di vita nella loro naturale disposizione e sceneggiatura. I soggetti sono le “cose” di ogni giorno, sono le presenze animate ed inanimate che agiscono sulla nostra quotidiana percezione e sulle nostre abitudini. Un rapporto con gli oggetti in modo rassegnato, come se si guardasse un infinito desiderio, senza determinate finalità.
Hopper vive e ci fa rivivere in un clima esistenzialistico, quello stesso in cui si agita la coscienza ed il tempo dell’Europa tra i due drammatici conflitti mondiali ed il declino, inesorabile, della cultura occidentale.
E’ l’artista della crisi, del dramma dell’essere, di quello che verrà designato come il “dramma dell’assurdo”.
I suoi quadri non sono solo testimonianza, ma sentimento dell’immediato : una fotografia dell’istantanea di ciò che non possiamo possedere, di ciò che ci sfugge, di ciò che ci rendere fragili protagonisti di un mondo senza più certezze e conoscenze rassicuranti.
E’ il poeta della fragilità, della solitudine come metafora dell’esistenza, quella entrata nel cono d’ombra dell’inquietudine esistenziale e dei rapporti virtuali .
E’ vita americana che viene resa visibile nelle sue sofferenze ed inutilità quotidiane : lo sguardo nelle sue opere, non è vedere l’invisibile, ma scoprire linguaggio nascosto che, ormai, ha invaso la nostra realtà interiore come contrasto alla distraente visibilità.
Le opere di Hopper vivono ,profeticamente, anche nella nostra contemporaneità, poiché l’alienazione non è circoscrivibile, anzi, si è trasformata nella cultura dell’abbandono, dell’atarassia, contaminando ogni paese occidentale e, nel fenomeno della globalizzazione, ogni popolo del nostro “ammalato” Pianeta.
Un’opera, particolarmente significativa, può essere uno dei suoi grandi capolavori : Soir bleu (1920).
Il titolo si ispira al primo verso della poesia Sensation di Artur Rimbaud, dove si esaltano i piaceri del vagabondaggio.
“Le sere blu d’estate andrò per i sentieri,
Punzecchiando dal grano, a pestar l’erba fine:
Sentirò, trasognato, quella frescura ai piedi,
E lacerò che il vento bagni il mio capo nudo”.
Hopper trasporta questa poesia costruendo una scena ( quasi filmica ) collocando sulla terrazza d’un café parigino un gruppo di personaggi eterogenei: una prostituta ( figura che sovrasta l’intera scena), il protettore, una coppia di borghesi, al centro un personaggio barbuto che siede accanto ad un avventore e di fronte un pierrot.
E’ una evocazione di momenti felici trascorsi a Parigi. Un’opera che venne censurata e posta , arrotolata, in uno scantinano della sua abitazione. Venne ritrovato dopo la sua morte.
Si coglie un senso di “addio” alla spensieratezza delle esperienze giovanili e dei suoi soggiorni parigini ed europei, ma, nello stesso tempo, si può cogliere il filone che l’artista riprenderà: quello di un viaggio silenzioso, senza parole, in pieno ascolto con il proprio mondo interiore.
“Non dipingo quello che vedo, ma quello che provo”. ( E, Hopper )
Franchino Falsetti
Produzioni Millecolline
Diritti Riservati
Cronache dal bosco della 40° Arte Fiera di Bologna
Di Franchino Falsetti.
Come uscire felici e contenti dal “bosco della 40°Arte Fiera” di Bologna 2016 ?
Non è soltanto un retorico interrogativo. In quarant’anni di vita le cose si sono centuplicate e questa singolare rassegna d’arte, assomiglia più ad un “festival” di evocazione lagunare, che non ad un sensibile e ricercato appuntamento con l’arte italiana in contatto con esperienze di grande interesse internazionale. Di fronte all’ invito di sentirsi meravigliati o “entusiasticamente” coinvolti, mi sembra che divenga opportuno partire dalle dichiarazioni o valutazioni degli organizzatori e sostenitori di questa kermesse, a cui, sembra, impossibile, criticare.
Come leggeremo, tutti i vari protagonisti sono elogiativi e pronti ad auto referenziarsi, come se fossimo di fronte ad una permanente campagna pubblicitaria alla rovescia: dai contenuti al contenitore, dai prodotti esposti alla decantazione di contenuti di esclusivo richiamo per un mercato privilegiato “condito” dagli inviti consumistici delle grandi sagre paesane. Un po’ come avveniva nelle famose e storiche “Fiere Campionarie” di Bologna, da cui l’edizioni dell’Arte Fiera” hanno avuto origine ( 1974 ).
Si trattò, secondo il gruppo dei temerari galleristi ed artisti fondatori di questa “stravagante” idea, di portare le opere, solitamente esposte nelle gallerie d’arte del centro cittadino, in un nuovo spazio, particolarmente, allargato ed affollato, come la “Fiera Campionaria”, di lunga tradizione popolare e molto amata dai cittadini bolognesi. I quadri e le sculture vennero collocati tra i “ mobili, arredi ed oggettistica di vario genere” .
Le gallerie che parteciparono a questa “improbabile avventura” furono una decina: le bolognesi de’ Foscherari, Studio G7, Forni, Duemila, Il Cancello, La Loggia, San Luca, Stivani, e con la partecipazione della Galleria Giulia di Roma e la Vinciana di Milano. Giorgio Ruggero, critico de “Il Resto del Carlino, nell’introduzione al catalogo della mostra di cui era curatore , si augurava che questa esperienza “sperimentale”, potesse crescere e “creare un nuovo e potente strumento di mercato” con lo scopo di “promuovere un’azione moderatrice, equilibratrice e calmieratrice nel discusso mercato dell’arte contemporanea”.
Pasquale Ribuffo della galleria “de’Foscherari” ricorda così questa data, indubbiamente, memorabile: -“Soprattutto il caldo. La Fiera Campionaria si teneva a giugno. Eravamo un gruppo di cani sciolti, ma la città viveva un momento di grande fermento creativo. E Bologna l’accolse fin da subito con grande benevolenza. All’epoca era Sindaco Zangheri e poi c’erano Arcangeli e Anceschi”.
Concetto Pozzati, uno dei fondatori dell’ArteFiera così ricorda quei momenti: -“L’idea fu di Giorgio Ruggeri con Maurizio Mazzotti, uomo di grande sensibilità. E io, con Franco Bartoli della “de’ Foscherari” e Tiziano Forni dell’omonima galleria, aderimmo con entusiasmo. Arte Fiera è nata così e ben presto si è affermata come la più importante in Italia oltre ad aver consolidato la scena artistica bolognese”.
Claudio Spadoni che cura con Giorgio Verzotti dal 2013 Arte Fiera con un preciso e comune impegno : rilanciare l’arte italiana ed il sistema artistico collaterale. Come orientarsi : -“Ai padiglioni 25 – 26 che come sempre proporranno rispettivamente il moderno e il contemporaneo, abbiamo affiancato un nuovo grande spazio che in qualche modo rappresenta le nuove tendenze. Qui abbiamo riunito la fotografia, la sezione Solo Show, rivolta alle gallerie che intendono esporre un solo artista, insieme alle Nuove Proposte, che cioè presentano elusivamente artisti under 35 […] Un dato ancor più significativo è poi che tanti dei galleristi che partecipano alla fiera da diverse edizioni hanno acquisito spazi più grandi, il che naturalmente implica per loro maggiori costi. Una prova inequivocabile del fatto che a Bologna si fanno affari”.
Laura Carlini Fanfogna – Direttrice dell’Istituzione Bologna Musei e curatrice della edizione di Art City: -“La manifestazione Art City vuole essere soprattutto una grande festa, sempre affollata. In cartellone ci sono oltre 70 eventi in 40 sedi diverse, dal centro alle periferie. Il programma prevede ancora il prolungamento degli orari nei musei, l’attivazione dell’Art City Bus, e gli appuntamenti che intratterranno i bambini […] Daremo spazio al saper fare e racconteremo riti, miti e mitologie, creando diverse connessioni e rimandi tra i protagonisti. Sono caratteristiche che si ritrovano anche nelle iniziative organizzate dalle altre istituzioni”.
Simona Gavioli – Presidente di SetUp Contemporary Art Fair : –“ SetUp è ancora una fiera molto giovane, ma in questi anni è già cresciuta e maturata, ha più consapevolezza. E lo ha fatto grazie anche ai “furti” che abbiamo fatto in questi anni: ovviamente niente di illegale, ma come diceva Picasso: “ I cattivi artisti copiano, i geni rubano”. Non penso di essere un genio, ma prima andavo alle Fiere in giro per il mondo solo come collezionista, adesso ci vado da addetta ai lavori e guardo tutto, soprattutto, i dettagli: dal catalogo, ai pavimenti e perfino le luci. Quando vedo una bella idea me la metto in borsa e la porto a SetUp. Il tema di quest’anno, l’orientamento ( dell’arte), non è solo una chiave di lettura per i visitatori, ma anche per noi, per capire cosa abbiamo costruito in questi pochi anni e un momento di riflessione per capire dove andremo”.
Alice Zannoni – Direttrice di SetUp Contemporary Art Fair : -“ L’orientamento ( dell’arte ) mi ha sempre intrigato in qualche modo è quello che permette all’essere umano ( e anche negli animali ) di non perdersi. E’ il sapere dove andare e metaforicamente significa avere le idee chiare sulla meta, sugli obiettivi. SetUp è nato con le idee chiare, infatti in 4 anni il format non è cambiato ma l’esperienza delle edizioni passate ci ha insegnato quale strada percorrere: in qualche modo abbiamo tracciato un percorso su una mappa ideale che corrisponde al fatto di avere capito da subito l’importanza di strutturarci sia in termini culturali che commerciali”.
Questa breve scorribanda tra le dichiarazioni ed interviste dei principali attori della quarantesima edizione dell’Arte Fiera- Bologna 2016, ci può aiutare, in modo molto parziale e limitato, ad aprire anche , per chi non è addetto ai lavori, un piccolo dibattito per farsi e fare altre domande ed altre considerazioni. Questa è una nota di libere considerazioni e non una cronaca dettagliata delle sezioni che hanno caratterizzato questo, comunque, importante compleanno artistico bolognese. Sono convinto, anch’io, che questa manifestazione è , indubbiamente, una esperienza di grandi prospettive ed aspettative, soprattutto, nel mondo dell’arte contemporanea. Un’epoca questa dove le emozioni sono morte e vivono solo provocazioni, performance, installazioni ed ogni “diavoleria” che non giova alla riflessione di chi pensa all’opportunità di costruire momenti per un “orientamento dell’arte”. Ma quale orientamento? Per orientarsi bisogna costruire dei punti di riferimento saldi, sicuri perché si possano operare delle scelte od iniziare percorsi di maggiore rassicurazione, di nuove creatività ed attendibilità. L’orizzonte dell’arte contemporanea è fatto di frammentazioni visive. L’ideazione è frutto di mille contaminazioni e nulla ci colpisce, ci incuriosisce, se non considerare il tutto come l’ennesimo cascame di modelli già collaudati ed esauriti dall’arte moderna. Siamo una società sempre più priva di linguaggi, soprattutto, quelli espressivi , quelli che ci permettono di elevare la nostra richiesta di comunicazione interpersonale e sociale.
La comunicazione, oggi, è disarticolata e soggetta alla parcellizzazione dello stile pubblicitario. E’ una comunicazione dimezzata, come è dimezzata l’arte che vive di esperienze effimere, sul già conosciuto, sulla deprivazione creativa. La grande festa dell’arte per suggellare, quello che conosciamo da circa due secoli, da quando Hegel decretò “la morte dell’arte”. Il grande storico dell’arte Antonio Paolucci a questo proposito : -“ […] l’arte che per convenzione chiamiamo contemporanea. In realtà non si tratta più di arte così come l’abbiamo intesa fino a ieri, ma di un’altra cosa. Non solo i linguaggi espressivi ma i codici di riferimento, l’idea stessa di arte, sono radicalmente e irreversibilmente mutati”. ( “Arte e bellezza”, 2011)
Questo non significa che dobbiamo sentirci degli astiosi verso il “contemporaneo” e diffondere campagne apocalittiche sul significato dell’arte contemporanea o su dove va l’arte in generale. Si tratterebbe di avere visioni meno compensative e consolatorie o di voler a tutti i costi, pensare che l’arte contemporanea sia la continuità naturale dell’arte moderna e quindi di una certa classicità, su cui, spesso qualcuno vuol evocare. Ogni tempo ha la sua arte, ogni società ha la sua arte, ma è ancora vero? Mi sembra molto difficile pensare al concetto di “straordinarietà” dell’arte e mi sembra anche “strumentale”, far convivere l’arte moderna con l’arte contemporanea, come avvenuto in questa edizione dell’Arte Fiera 2016. Anche questa operazione per mantenere alto l’obiettivo: più vendita più successo = più vendita più mercato.
E’ possibile pensare un appuntamento culturale senza fare cultura? E’ possibile ignorare che conoscere è una valore di tutti e per tutti? E’ possibile ri-pensare che la città potrebbe diventare una grande aula didattica, dove gli strumenti del conoscere sono le iniziative, le manifestazioni, gli incontri, le conversazioni con il pubblico, ect…e dove, l’obiettivo fondamentale dovrebbe essere quello, come avveniva nel Medio-Evo e nel Rinascimento, quando il pubblico diventava scolaro e gli scolari diventavano sapienti.
Oggi moriamo di “notti bianche”, di “happy hours” , di gastronomie invasive ed invadenti. Tutto viene trasformato in un grande happening, in una grande “abbuffata”, dove , quello che è importante è consumare e finire stremati, intontiti e privi di ogni reale motivazione.
Oggi la partecipazione non è finalizzata a comprendere e cambiare. La partecipazione si è, fortemente, massificata, che si sono inventati i “gadget”. L’arte contemporanea è il grande gadget, su cui si concentrano i loisir dei fantasiosi, cosiddetti, artisti ed essi , invece di essere dei convincenti testimoni critici di un’epoca decadente e degradata, sono, essi stessi passivi e condizionati rappresentanti della disarmante incapacità a saper interpretare e denunciare i veri fatti che stanno cambiando il nostro modo di vivere, di pensare, di agire e di comunicare. Gli artisti del XXI secolo, potrebbero essere i nuovi profeti per un riscoperto mondo nuovo e per rinnovare quella speranza di un ritorno alla “Bellezza” per un mondo migliore e per un’arte ritrovata, liberata dalle mode intellettualistiche e provocatorie.
Franchino Falsetti
Bibliografia di riferimento alle interviste riportate ed informazioni sull’evento.
- Arte Fiera –La Repubblica – trova Bologna – 28 gennaio 2016
- Bologna da vivere – gennaio 2016
- Arte & Fiera, a cura di Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti, 2016