Pillole corsare N° 14 – L’arte illusionista in cerca di applausi e di desideri

L’arte illusionista in cerca di applausi e di desideri……..[n.14]

Si è appena conclusa l’ultima provocazione, se così possiamo ancora definire, di ciò che non si rende comprensibile o giustificabile secondo quanto stabilito da un codice “ufficiale” che non riguarda solo l’arte, ma ogni forma del nostro, ormai, disordinato mondo del costume e dei nostri comportamenti. A cosa mi riferisco? All’ultima opera dell’artista bulgaro-americano Christo, che con la sua  passerella “galleggiante” dal titolo “The Floating Piers” lunga 4 kilometri e mezzo e larga 16 metri, ha trasformato il sereno lago d’Iseo, in una sorprendente “esperienza irripetibile”.

Il The New York Times quotidiano statunitense intitolava questo evento : “L’arte che ti fa camminare sull’acqua” ed il The Guardian, quotidiano britannico, con evidenti assonanze: “Passeggiando sull’acqua con Christo”.

Il successo di questa “stravagante” installazione sta in una illuminata motivazione, fatta dallo stesso artista: “Volevo agire sul desiderio e sulla curiosità delle persone. Qui non si è persi dentro una realtà virtuale, c’è vero sole, vero umido, vera pioggia, vero vento, non c’è la riproduzione di un’immagine appiattita”. Nulla di artistico,quindi, nulla che richiami un tentativo, seppur discutibile, di opporre alla magnificenza dello scenario naturale del lago e dei suoi monti, un tracciato artificiale di dissonanti ambiguità creative. Avere la sensazione di camminare sull’acqua non è un messaggio artistico e non ci permette di esplorare nessun segno evidente dell’arte presente sul territorio  o nelle sue leggende di antica storia locale.

Ma a chiusura dell’evento, sempre lo stesso artista Christo, così commentava la sua realizzazione della pedonale acquatica che ha registrato oltre un milione e mezzo di persone:” Il bello di “Floating Piers”? Che non porta da nessuna parte”. E’ una semplice espressione di libertà.

“L’arte non è un progetto, è un’esistenza”, altra sua affermazione che ci lascia, ulteriormente  perplessi. Che senso ha, allora, parlare di arte contemporanea o di qualunque altra che sia stata protagonista di idee, di pensiero, di bellezza, di motore ideologico per descrivere, rappresentare, profetizzare il mondo del passato, quello in cui viviamo e quello futuro? Una spiegazione c’è,al di là, delle ovvie contestazioni: siamo e viviamo in un’epoca divoratrice, dove il senso delle cose è vissuto nel suo consumo materiale immediato e non ideale. Tutto è finalizzato al ridurre il nostro modo di essere nel bisogno effimero della leggerezza delle emozioni provocate dagli stimolatori del presente, il cui ricordo è sentirsi “massaggiati” dai flash dei selfie. E’ è il vero quadro per i posteri!

Questa subdola e diffusa esperienza della “non arte”, dovrebbe preoccuparci, perchè, mentre si cerca di ri-costruire una formazione artistica ( dalle Istituzioni deputate alla Scuola ) e la conoscenza dell’arte intesa come veicolo per interpretare la nostra storia e quella dei secoli scorsi, si accolgono, con entusiasmo commerciale, esperienze negative come questa, che viene considerata ed utilizzata per costruire e diffondere un turismo fatto di sensorialità evanescenti e di emozioni da “parco dei divertimenti”, e non di cultura della creatività e formazione.

 

Franchino Falsetti

 

Parte della piattaforma vista dal'alto, il 18 giugno (Michael Kappeler/picture-alliance/dpa/AP Images)
Parte della piattaforma vista dal’alto, il 18 giugno (Michael Kappeler/picture-alliance/dpa/AP Images)

 

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Le parole dell’Arte – Art Brut

Le parole dell’arte. 

A cura di Franchino Falsetti. 

Art brut. 

Nel 1945 in una Europa ridotta ad un continente privo delle sue antiche e secolari bellezze e sepolto da vaste testimonianze fatte di macerie e di struggente desolazione, dove dominano le forze distruttive dei “quattro cavalieri dell’Apocalisse”, il pittore francese Jean Dubuffet, sperimentava la nascita di un nuova arte, da lui denominata : art brut. Un’arte definita “primitiva” perché voleva opporsi a quella “colta”.

E’ un’arte che fu sorprendente e che scandalizzò, non solo i benpensanti ma coloro che amavano dividere “l’espressione artistica” secondo modelli o schemi accademici codificabili.

 

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Affluence. Jean Dubuffet (1961)

 

Nello scenario del dopoguerra dominato dalla violenza e dalla “bestialità” dell’uomo più civilizzato del mondo ( quello europeo e quello americano ), Dubuffet pensò di anteporre la naturale ed autentica espressione che come Klee, si rintraccia nei bambini. Una pittura infantile, dove l’espressività risiede nella spontaneità e nella libertà delle immagini, dell’immaginario.

Nessun processo intellettuale o pre-determinato, ma un proiettare, in senso liberatorio, il proprio mondo interiore, una certa emozione che si fa materia. E così nasce una nuova creatività disinibita, priva di ogni orpello e condizionamento ideologico.

 

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Vache au nez subtil. Jean Dubuffet.

 

Ci fu che volle identificare questa arte al genere naif. L’art brut non è naif e non appartiene a nessuna scuola. “ I materiali che la caratterizzano sono spesso oggetti di recupero o scarti ( lo stesso Dubuffet  negli anni cinquanta utilizza accanto alla pittura tradizionale detriti, spugne, ali di farfalla ) assemblati insieme con grande libertà in veri e propri quadri, costruzioni, sculture”.  Nell’opera di Dubuffet troviamo una nuova ricerca della figurazione, realizzata attraverso il rifiuto degli schemi tradizionali. Ci troviamo di fronte a processi di figuralità deformata con la sperimentazione di rinnovate tecniche pittoriche.

 

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Rue passagére. Jean Dubuffet. (1961)

 

Dubuffet, affermerà, in una importante conferenza tenuta alla Facoltà di Lettere di Lilla ( 10 gennaio 1951 ) in occasione della inaugurazione della mostra ”Cinque piccoli inventori della pittura”: Paul End, Alcide, Liber, Gsduf, Sylvocq, presso la libreria Marcel Evrard dal 10 al 25 gennaio 1951, intitolata : “Gloria ai valori selvaggi”, che : “ E’ soltanto in quest’ art brut che si trovano, a mio avviso, i processi naturali e normali della creazione artistica, nel loro stato puro ed elementare. E’ l’assistere a tale operazione che mi sembra appassionante, e, in questo momento, poco importa che le opere create siano di scarsa ampiezza, che impieghino dei mezzi molto ridotti, che addirittura limitino, in certi casi, a piccoli scarabocchi poco elaborati e molto sommari tracciati sul muro con la punta d’un coltello o matita sul primo pezzo di cartaccia capitato tra le mani. Quel disegnino buttato giù in gran fretta mi pare che abbia un contenuto ben più ampio, e un significato ben più prezioso, della maggior parte dei dipinti grandi e pieni di pretese, quasi sempre completamente vuoti, che affollano i musei e le gallerie d’arte”.

Il suo anticonformismo e le sue impensabili scelte materiche condizionarono le esperienze artistiche successive, suggerendo  continue sperimentazioni fino all’esplosione della fenomenologia dell’ arte povera.

Franchino Falsetti

 

 

Bibliografia

  • Jean Dubuffet,  I valori selvaggi . Prospectus e altri scritti ( a cura di Renato barilli ), Milano, Feltrinelli Editore. 1971
  • Gillo Dorfles, Ultime tendenze nell’arte oggi. Dall’informale al concettuale, Milano, Feltrinelli Editore. 1961

 

 

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Nassim: una voce senza parole

A volte mi chiedo se sia vero che l’arte oggi sia, davvero, morta e che non solleciti più alcun interesse, soprattutto, tra le nuove generazioni.

Può sembrare una oziosa domanda, ma, invece, è qualcosa che va ricercata. In Italia, per esempio, moltissimi sono i giovani di ambo i sessi, che scelgono, senza mira alcuna, il campo dell’espressività, della comunicazione pittorica, dei vari stilemi della creatività artistica. Oltre alle scuole ufficiali pubbliche o private, moltissime sono le “agenzie” che promuovono iniziative di natura educativa o formativa dell’arte non solo in senso amatoriale,  ma anche in senso professionale, con adeguate borse di studio, viaggi all’estero, scambi di esperienze e soggiorni di cultura. Un vero mondo di opportunità attorno ad un “occhio magico”, che si chiama: Arte. Non è l’Arte, però, che traccia il solco della tradizione, oggi, del trasmettere alle generazioni successive o, come si diceva un tempo, ai “posteri”. E’, invece, un ‘arte della contingenza, della necessità di vivere e di sopravvivere. Una scelta di vita, di libertà.

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Una scelta per valorizzare la propria personalità il proprio universo interiore. Un modo per sentirsi rassicurati e per navigare nell’immenso mare dei cambiamenti epocali e delle incertezze dei nostri destini. L’arte che si trasforma, che cambia il suo “statuto” di immagini e di conoscenza. L’arte come linguaggio della quotidianità, della immediatezza, come “logo” del vivere in un perenne  disordine. Tutto questo traspare dalle opere della promettente artista Nassim Hoharyar, giovanissima iraniana che frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Bologna e si sente un po’ bolognese.

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Lo stile pop up le serve per essere incisiva nei suoi messaggi. Sì, perché questa artista usa l’arte come “scrittura”. Quella stessa che caratterizza la velocità delle lettere “figurate” della scrittura araba. I suoi soggetti sono le figure femminili, come metafora del desiderio del riscatto, della rivincita, del conflitto, della paura, della libertà.

Il problema femminile senza voce : questo è il segreto messaggio che si vuole affrontare. Il color rosso della passione, figure che sembrano specchiarsi in un infinto senza orizzonti, volti di donne dimezzate, sguardi senza rassegnazione, ma vuoti nella loro solitudine, sono le nuove immagini di un mondo perdente. Un mondo che non sa ascoltare, un mondo che non sa rispondere alle voci senza parole, perché è stata tolta la parola come fonte del dialogo, della comprensione, della comunicazione.

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Nassim è una artista potenzialmente ricca di espressività nascosta, ancora non del tutto strutturata. I contenuti delle sue opere sono pieni di sentimento, ma hanno bisogno di non disperdersi nelle seduzioni dell’arte del consumo onnivoro o nell’arte corrotta e globalizzata del mondo occidentale. Nassim è “piccola ma crescerà” se riuscirà a mantenere la sua identità e la sua genuinità delle sue origini e della sua cultura, ancora, “incontaminata”.

 

                                                                                                                                                                                                                                           Prof. Franchino Falsetti – Critico d’Arte 

 

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Hopper è a Bologna, a Palazzo Fava.

A Bologna dal 25 marzo al 24 luglio 2016, presso le meravigliose sale del Palazzo Fava, Via Manzoni 2, è visitabile una mostra di Edward Hopper, uno dei più significativi pittori americani del ventesimo secolo.

Hopper e le iconiche della modernità

Art di New York, a cura di Barbara Haskell in collaborazione con il critico d’arte Luca Beatrice. La mostra è composta di sessanta opere che mostrano le diverse realizzazioni tecnico-compositive e la prodigiosa abilità, anche, come disegnatore. Diversi sono gli “studi” ad acquarelli od a carboncini di riferimento ad opere di alto prestigio pittorico.

Si potranno ammirare alcuni capolavori come: South Carolina Morning (1955), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop (1909 ) e lo straordinario quadro intitolato Soir Bleu (  opera che ha quasi due metri  di lunghezza ), simbolo della incomunicabilità e della alienazione umana.

Autoritratto. Edward Hopper.
Autoritratto. Edward Hopper.

La mostra di Hopper è stata articolata in sei sezioni, distribuite sui due piani del Palazzo Espositivo, tenendo conto di un ordine tematico e cronologico. E’ una sintesi che ci permette, in modo molto piacevole, di entrare nella poetica di Hopper, seguendone i vari periodi: dagli anni ’30 agli anni ’50, fino ad alcune incisive immagini della sua ultima produzione. Infine è possibile soffermarsi ed apprezzare alcune  “composizioni preparatorie o studi” con l’uso abile delle diverse tecniche usate dall’artista: l’olio, l’acquarello, il carboncino e l’incisione.

Hopper  pittore americano (1882-1967), famoso per la sua reticenza ed innamorato del suo luogo di nascita ( Nyack – piccola cittadina nello Stato di New York  e la stessa New York dove si stabili dal 1913 fino alla morte 1967),  uscì dal suo radicato e geloso mondo newyorkese solo tre volte, per recarsi in Europa ( dal 1906 al 1907, dal 1909 al 1910 ).

L’esperienza francese, soggiorni parigini, sarà quella che maggiormente segnerà la formazione dell’artista, sia per la realizzazione dei suoi maggiori capolavori, sia per un suo arricchimento culturale ed artistico.

Lo scrittore e critico d’arte John Updike , in un famoso saggio, definisce i quadri di Hopper : “calmi, silenti, stoici, luminosi, classici”.

La poetica di questa grande artista possiamo trovarla e ben sintetizzata con le sue stesse parole, scritte in una lettera inviata a Charles H. Sawayer, direttore della Addison Gallery of American Art (1939) : “ Per me figura,colore e forma non sono mezzi per raggiungere il fine, sono gli attrezzi con i quali lavoro, e non mi interessano in quanto tali. Mi sento attratto, soprattutto, dal vasto campo dell’esperienza e delle sensazioni, del quale non si occupa né la letteratura, né un tipo di arte meramente artificiale. […]

Morning sun. Edaward Hopper.
Morning sun. Edaward Hopper.

Il mio obiettivo nella pittura è sempre usare la natura come mezzo per provare a fissare sulla tela le mie reazioni più intime all’oggetto, così come esso appare nel momento in cui lo amo di più: quando i fatti corrispondono ai miei interessi e alle immagini che mi sono creato in precedenza. Perché io poi scelga determinati oggetti piuttosto che altri, non lo so neanche io con precisione, ma credo che sia perché rappresentano il miglior mezzo per arrivare ad una sintesi della mia esperienza interiore”.

Il suo immediato e sincero realismo evoca le sensazioni “epidermiche e sensuali” di certi impressionisti, a lui molto cari e considerati, come , per le opere di Edgar Degas, che gli suggerirono il modo di descrivere la semplicità degli “interni” e la spettacolarità delle “inquadrature” quasi di stampo fotografico.

Un elemento distintivo di tutta la sua opera è la luce , che crea non solo una magica presenza aurorale, ma permette all’artista una certa progettualità compositiva ed una particolare atmosfera della visione della realtà. Sono piccole sequenze di vita nella loro naturale disposizione e sceneggiatura. I soggetti sono le “cose” di ogni giorno, sono le presenze animate ed inanimate che agiscono sulla nostra quotidiana percezione e sulle nostre abitudini. Un rapporto con gli oggetti in modo rassegnato, come se si guardasse un infinito desiderio, senza determinate finalità.

Hopper vive e ci fa rivivere in un clima esistenzialistico, quello stesso in cui si agita la coscienza ed il tempo dell’Europa tra i due drammatici conflitti mondiali ed il declino, inesorabile, della cultura occidentale.

E’ l’artista della crisi, del dramma dell’essere, di quello che verrà designato come il “dramma dell’assurdo”.

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South Carolina morning. Edward Hopper.

I suoi quadri non sono solo testimonianza, ma sentimento dell’immediato : una fotografia dell’istantanea di ciò che non possiamo possedere, di ciò che ci sfugge, di ciò che ci rendere fragili protagonisti di un mondo senza più certezze e conoscenze rassicuranti.

E’ il poeta della fragilità, della solitudine come metafora dell’esistenza, quella entrata nel cono d’ombra dell’inquietudine esistenziale e dei rapporti virtuali .

E’ vita americana che viene resa visibile nelle sue sofferenze ed inutilità quotidiane : lo sguardo nelle sue opere, non è vedere l’invisibile, ma scoprire linguaggio nascosto che, ormai, ha invaso la nostra realtà interiore come contrasto alla distraente visibilità.

Le opere di Hopper vivono ,profeticamente, anche nella nostra contemporaneità, poiché l’alienazione non è circoscrivibile, anzi, si è trasformata nella cultura dell’abbandono, dell’atarassia, contaminando ogni paese occidentale e, nel fenomeno della globalizzazione, ogni popolo del nostro “ammalato” Pianeta.

Un’opera, particolarmente significativa, può essere uno dei suoi grandi capolavori : Soir bleu (1920).

 

 

Il titolo si ispira al primo verso della poesia Sensation di Artur Rimbaud, dove si esaltano i piaceri del vagabondaggio.

Hopper -Soir Bleu - 1920
Soir Bleu. Edward Hopper – 1920

Le sere blu d’estate andrò per i sentieri,

Punzecchiando dal grano, a pestar l’erba fine:

Sentirò, trasognato, quella frescura ai piedi,

E lacerò che il vento bagni il mio capo nudo”.

Hopper trasporta questa poesia costruendo una scena ( quasi filmica ) collocando sulla terrazza d’un café parigino un gruppo di personaggi eterogenei: una prostituta ( figura che sovrasta l’intera scena), il protettore, una coppia di borghesi, al centro un personaggio barbuto che siede accanto ad un avventore  e di fronte un pierrot.

E’ una evocazione di momenti felici trascorsi a Parigi. Un’opera che venne censurata e posta , arrotolata, in uno scantinano della sua abitazione. Venne ritrovato dopo la sua morte.

Hopper - Estate
Estate. Edward Hopper

Si coglie un senso di “addio” alla spensieratezza delle esperienze giovanili e dei suoi soggiorni parigini ed europei, ma, nello stesso tempo, si può cogliere il filone che l’artista riprenderà: quello di un viaggio silenzioso, senza parole, in pieno ascolto con il proprio mondo interiore.

Hopper -Nighthawks

“Non dipingo quello che vedo, ma quello che provo”. ( E, Hopper )

 

 

Franchino Falsetti

Prof. Franchino Falsetti all'interno di un quadro di Hopper. ( Cortesia organizzazione mostra di Edward Hopper.a Bologna )
Prof. Franchino Falsetti all’interno di un quadro di Hopper. ( Cortesia organizzazione mostra di Edward Hopper a Bologna )

 

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Nassim Honaryar espone dall’8 marzo a Vignola

ANTEPRIMA – Nassim Honaryar è una pittrice che arriva da lontano ma che vive a Vignola da qualche anno e l’8 marzo inaugurerà una sua mostra personale nei locali della piscina di Vignola a partire dalle 20:30. Questa ci è parsa una buona occasione per presentare una nuova arista e per festeggiare la festa della donna. Dobbiamo dire che non conosciamo personalmente Nassim perché ci ha contattato attraverso il web, ma sappiamo che ha già esposto in gallerie bolognesi e ci è parso normale che una rivista d’arte web, come la nostra, possa presentare anteprime di artisti conosciuti attraverso la rete delegando ad un successivo appuntamento il piacere di conoscerci di persona. Un po’ come in certi film del cinema che ci piace. Come primizia vi facciamo vedere due dei lavori che potrete vedere alla mostra di Nassim; da parte nostra non mancheremo di presentarvi l’artista con un videoreport “su misura”.  Rimanete in linea.

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Testo di Roberto Cerè per Millecolline.

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