Bolognesità.  I Portici di Bologna un Primato d’eccellenza

Una lettera di cuore rivolta ad una bolognesità unica

I Portici di Bologna sono Bologna

Pubblicato il 18/02/2022

 

I Portici di Bologna un Primato d’eccellenza

Con la nomina di Patrimonio Mondiale UNESCO arrivata il 28 luglio 2021 direttamente da Fuzhon in Cina, Bologna è stata ufficialmente decretata “Città dei Portici”. Segue l’altro prestigioso riconoscimento UNESCO, ottenuto nel 2006, quando venne dichiarata “Città creativa della Musica”.

I primi portici vennero costruiti nel XI secolo come prolungamento delle superficie degli edifici privati.

E d’allora Bologna ha raggiunto complessivamente un tracciato di portici di ben 62 km.

Nel corso dei secoli sono stati fonte di curiosità e di ammirazione.

I famosi grandi viaggiatori non hanno mai trascurato di parlarne, di esprimere le propri impressioni, di sentirsi attratti da questa unica meraviglia che presenta una sua precisa identità rispetto altre città italiane dove se esistono portici edificati sono molto ridotti di numero, con criteri meno personalizzati, meno caldi, limitati a scopi pratici, ma non ad essere parte della vita della popolazione, direi delle generazioni che si sono susseguite.

I Portici, il portico a Bologna è un angolo di esperienze, di racconti, di convivialità, di spontaneità, tipiche del bolognese.

Portici di S. Stefano (Ph. Matteo Santori)

Qui, sotto i Portici è nata la bolognesità: è nata l’identità delle nostre radici. I Portici di San Luca ne sono un esempio tangibile che intreccia i simboli della spiritualità con quelli della laicità, della voglia di sentirsi vivo e partecipe di eventi unici dove la tradizione diveniva educazione ed insegnamento. Un lungo cammino che univa le famiglie, i giovani e gli adulti in un “pellegrinaggio” ricco di sentimenti, di emozioni e benessere morale e fisico. In anni passati luoghi come Meloncello o San Luca erano dei punti di riferimento, d’incontro per iniziare insieme una passeggiata “speciale” fatta di ricordi, di emozioni, di evocazioni, di racconti e di ascolti indimenticabili. Su questo tracciato si sono formate diverse generazioni ed il senso religioso ci ha sempre accompagnato  e guidato con luminosa armoniosità.

Riccardo Bacchelli, grande scrittore bolognese, ha scritto un “tesoretto”  intitolato “Ritorno sotto i portici (1959)”. Per offrire altri spunti ed altre considerazioni, trascrivo un lungo stralcio significativo per non rendere questa stupenda realtà urbana ed architettonica un semplice fatto decorativo od ornamentale.

“I portici furono e sono insomma, invenzione espressa e propizievole di una urbanità, civiltà, convenevolezza, affabilità; invenzione e qualità conformi, per eccellenza, al costume di una città illustre ab antico per la sua urbanità nel senso maggiore e più pieno della parola. Semmai, per non far soltanto elogi, si può aggiungere che i portici stessi indulgono alle relative mollezze, morbidezze, corrività di un costume, di un umore, di una socievolezza, inclini al godevole e al facile: troppo socievoli. […]

Per tornar presto a immagini meno ingrate, la maestria urbanissima per cui i portici difendono il cittadino dai freddi delle stagioni maligne e dai caldi dei mesi assolati, è propizia, oltre che all’amenità della conversazione mondana, alle dignità degli ornati ozi e discorsi accademici. […]”.

Portici di S. Luca

I portici bolognesi dall’XI secolo sono diventati la cintura protettiva della città ed ognuno ha una storia da raccontare. Il tracciato lungo 62 km tocca o attraversa l’intera città: dalla Monumentale Certosa al radioso percorso del Pavaglione, Via D’Azeglio, via Farini, Santo Stefano, Via Indipendenza, fino a raggiungere le periferie come quella più recente del Treno al Quartiere Barca (1960).

E’ una stella a 6, 8, 12 punte che ci protegge e ci culla con narrazioni gioiose, malavitose, eccidi, fucilazioni (come quella di Ugo Bassi, sotto il portico della Certosa o partigiani nella lotta di Liberazione ( 1944-45 ) o delle famose “vasche” che molti di noi ancora ricordano sotto il magnifico portico del Pavaglione, per concludersi all’angolo dei “cretini”, così denominato goliardicamente.

Passeggiate infinite, altrove denominate “struscio”, che coinvolgevano, fondamentalmente, i giovani studenti di ambo i sessi, in massima parte studenti delle medie superiori e studenti universitari che per ore, in un andare e venire fino al mitico Bar Zanarini (altro importante pezzo di storia bolognese), si ragionava di tutto: dallo sport alla filosofia, alle traduzione di latino o greco e scambio di compiti, alle feste private da concordare od agli accordi inossidabili per la domenica, giorno “sacro” tutto da vivere, non da “bere”.

Era un percorso quotidiano a cui pochi rinunciavano, anche perché era un ambìto appuntamento per fare nuove amicizie e per sostenere le proprie tesi sugli argomenti di maggiore interesse scolastico, di tenere “cotte” o di letture in corso o di cronaca  giornalistica. Un’allegria liberatoria dopo una giornata spesa tra i banchi e poi sui compiti da svolgere a casa.

Una libertà controllata dalla severità dei tempi ma un necessario appuntamento per crescere e per sentirsi già “grandi”. Ed il portico, quell’angolo di portico è stato per decenni una nostra seconda scuola, un angolo di protezione, di ascolto, di vita come se per incanto si vivesse la nostra “piccola piazza” fatta di utopie, illusioni, spensieratezza, di calde e profumate  caldarroste e saporite mistocchine.

Una scuola senza maestri, ma con tanta voglia di imparare e di ascoltare i più grandi, quelli dell’università, che tra un discorso e l’altro parlavano di come organizzare la prossima Festa della Goliardia, grande evento non solo locale, ma nazionale ed internazionale. Quindi il Portico, luogo non solo di passeggio, di protezione dalla pioggia o dalla neve, ma luogo di distensione, di piacere di sentirsi un piccolo protagonista di uno scorrere particolare del tempo che si caratterizzava come petroniano, lento ma profondo, come ogni segno o simbolo storico della bolognesità e della sua irrepetibile storia.

                                                                                                                                       Prof. Franchino Falsetti

                                                                                                                                                  Critico d’Arte

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