Pillola corsara N°17 – I ricorsi della Storia ed il non senso della vita.

I ricorsi della Storia ed il non senso della vita.            [n.17]

Einstein riuscì a scrivere un prezioso “libretto” intitolato: “ Il mondo come io lo vedo” e, non fu il solo a tentare questa “ardua” e serena impresa.

In apertura c’è un inquietante pensiero che riguarda il senso della vita. A questa domanda Einstein risponde: “l’uomo che considera la propria vita e quella delle creature consimili prive di senso non è semplicemente sventurato, ma quasi inidoneo alla vita”.

Questa amara considerazione sembra essere il leit-motiv del XXI secolo che, sulle orme del secolo scorso, ha sollevato il famoso coperchio del “vaso di Pandora”, dove si comprimevano le sconfitte e gli effetti di una umanità condannata a non avere più il “senso della vita”.

Gli avvenimenti politici, sociali e culturali, in particolare in questi ultimi cinquant’anni, hanno fatto esplodere ogni contraddizione, ogni forma di opportunismo, di egoismo, di indifferenza e di ignoranza, mascherati dalla solita ipocrisia del “buon governo”, dalle sirene del “facile populismo” e dalla nefasta cultura del politically correct. Un modo “innocente” per capovolgere ogni tradizionale valore con l’obiettivo di essere, inesorabilmente, cancellato. Ciò che però preoccupa in questo “buco nero” della nostra esistenza contemporanea è che il livello di disumanità colpisce l’intero pianeta. Non esistono più le “isole felici”, non è più, nemmeno, pensabile di ritirarsi su qualche eremo sperduto o sottratto a qualunque condizionamento del vivere per immagini pubblicitarie.

Non siamo consapevoli come ci ricorda l’affermazione di Schopenhauer che: un uomo può fare come vuole, ma non può volere come vuole”.

Questa certezza potrebbe essere importante per indagare, consapevolmente, sul senso e sullo scopo della propria esistenza.

I ricorsi della Storia, il continuo ripetersi di immani tragedie ( vedi le diverse strategie ed anime del terrorismo invasivo e distruttivo nel mondo occidentale ed orientale ), il sopravvento dell’irrazionalità ed egoismo dell’uomo contemporaneo che preferisce, di nuovo, sentirsi attratto dal “ sonno della ragione”  e dai suoi invincibili “mostri”.

L’uomo di oggi vive continue sofferenze prodotte dal suo progresso, dalle sue ingenuità nel sentirsi “immortale” e di poter, persino, progettare oltre la morte per non vuole accettarla e quindi tutto si risolve un selfie ed un pavimento fatto di fiori. Prevale una concezione apocalittica e rassegnata : mostrare la propria impotenza per sentirsi vivo nei social o su face book .

Non ci si accorge che le futilità del mondo consumistico ci hanno reso privi di ogni desiderio e di volontà di essere e di poter essere.

Siamo ritornati in una sorta di primitività e senso “inutile” della vita. Tutto, ormai, si svolge in modo meccanico: dalle relazioni alla produzione viviamo in modo virtuale, uniforme, senza alcuna eccezione. Persino il mondo della scuola, in ogni ordine e grado ( compresa l’università ) vive di regolamenti e di “concorsi” a premi, dove tutti sono promossi e dove dal docente allo studente non esistono più distinzioni: sanno tutti le stesse cose. Questa è l’anticamera della perdita di ogni valore, di ogni tradizione conquistata e verificata nei secoli. La parola tradizione, che significa trasmettere, rischia in questo contesto, lentamente, di scomparire.

Avremo società legate al proprio presente, pensando solo al provvedere delle necessità edonistiche, di divertimenti ad libitum e di sopravvivenza, fino alla perdita di ogni ideale comune e senso di cooperazione.

Quel senso della vita,fondamentale, per sollecitare l’uomo a pensare al futuro possibile, consegnando alle nuove generazioni motivi essenziali e tangibili di continuità con il passato e con le irrinunciabili forme : “ di bontà, di verità e di bellezza”.

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                    Franchino Falsetti

Albert Einstein
Albert Einstein

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Pillola corsara N° 16 – Questa pillola si veste di interrogativi

Questa pillola si veste di interrogativi                                [n.15]   

Si può vivere di solo onestà? Ti ricordano che sei un “voto”, e tu? Quali sono i “comandamenti” della democrazia? Conosci la democrazia? E le altre sue sorellastre? Vivi perché lasci vivere? Oppure? Di che cosa si sente di più la necessità: dell’oggi o del domani? Vogliamo davvero salvare questo nostro Pianeta, troppo sofferente?  Sono gli altri che ci cullano e ci consolano? Forse stiamo vivendo non un’epoca ma un’era troppo colorata? Tutti hanno messaggi da inviare, ma chi sono i destinatari? In un tempo senza “premesse”, dove si può arrivare? Ognuno vuole lasciare una traccia di sé, con selfie d’artificio. E’ possibile? La nostra immagine significa continuità? In quale mondo?  Lo spettacolo della vita è  il nuovo canovaccio dell’esistenza?  Si vive perché si è consapevoli o perché si “condivide”?  Avere cultura è un traguardo o un mezzo? E’ possibile amare se stessi perché si ama la vita? Qualcuno parlava che la vita è altrove. E’ ancora così?  Si pensava di vivere senza più timori. E invece? Come vivere pensando?  Il declino delle idee sarà la vera causa della civiltà? I nuovi barbari saranno i nostri nuovi salvatori? A chi piace declinare il dizionario al femminile? La differenza dei sessi è uno scherzo della natura?  E’ ancora possibile realizzare l’imperativo: “volli fortissimamente volli”? E’ giunto il momento di descolarizzare la scuola ? Che cosa significa, davvero, essere scrittore oggi? Si scrive per lasciare una eredità intellettuale o per incrementare l’effimero, ossia il vuoto a perdere? I nuovi strumenti del comunicare, esempio quelli elettronici od informatici,  ci fanno sentire più liberi?  Il trionfo della tecnologia è una garanzia per sentirci più felici? Dio si fece uomo. E l’uomo? Siamo entrati in una nuova Babele dei linguaggi e della comunicazione oppure stiamo facendo una prova microfono ? Qualcuno ci parla che la bellezza salverà il mondo. E’ possibile? L’arte è sempre più brut e tutto sembra tendere al trionfo della bruttezza. E’ proprio vero? Di che cosa oggi l’uomo vuole parlare? E’ ancora capace di parlare, di esprimersi, di amare questa “straordinaria” avventura, che è la vita?

Franchino Falsetti

Opera di Keith Haring
Opera di Keith Haring

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Pillola Corsara N° 15 – L’essere o non essere della Costituzione Italiana

L’essere o non essere della Costituzione Italiana…   [n.15]

Lo scorrere sempre più veloce del tempo del vivere e dell’agire in rapporto all’irrefrenabile bombardamento mass-mediologico che domina, ormai, l’intero pianeta, ci rende privi di memoria e rende ogni nostro comportamento “originale”, come se fosse stato pensato in quel momento. Viviamo l’attualità e su di essa si confrontiamo e tutti si sentono opinionisti, conduttori, scrittori, artisti, vignettisti, profeti di nuovi scenari , sempre più, apocalittici od incomprensibili.

In questi giorni ci sono stati appuntamenti di ricorrenza per il  settantesimo della nascita della Repubblica Italiana ( 1946-2016 ) e pochi richiami alla formazione dell’Assemblea della Costituente ( 10 giugno 1946 ). Due grandi momenti per la nostra storia democratica e repubblicana, realizzati a pochi giorni di distanza, per rendere l’Italia una nuova Nazione senza più mortificazioni morali,  senza più limitazioni dei diritti umani, senza precisi riferimenti costituzionali.

Si può festeggiare la data di nascita della Repubblica Italiana , ma tutto si limita al “fatidico” referendum, dove, per la prima volta votarono, finalmente anche le donne e dove il diritto al voto si espresse con un SI’ o con un NO. Ma dopo questa grande conquista di libertà e di speranza, bisognava, immediatamente, provvedere a dare agli italiani la propria carta d’identità, e cioè : la Costituzione. Queste due realtà non sono separabili. Non possiamo pensare che modificare la Costituzione, come si vuole, oggi, più che nel passato, non voglia dire,anche, cambiare la Repubblica.

Piero Calamandrei, uno dei grandi padri della Costituzione, in un importante articolo, intitolato: La festa dell’incompiuta, apparso sulla rivista “Il Ponte”,n.6,1951, con inquietante attualità, ricordando il terzo anniversario della Costituzione, si pone alcune domande: “Di quale Costituzione? Di quella che ci dovrebbe essere, o, di quella che c’è? Di quella teorica, immaginata dalla Costituente, o di quella pratica, messa in atto dal governo?”.  I soliti inganni, i soliti modi dell’essere e del non essere. Le solite : parole, parole, parole, degli amletici divulgatori di oggi, propugnatori di novità senza evidenziare “quel diavolo in corpo”, che è necessario per contrastare ogni velleità ed ogni improvvisazione.

 

Franchino Falsetti

 

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Pillole corsare N° 14 – L’arte illusionista in cerca di applausi e di desideri

L’arte illusionista in cerca di applausi e di desideri……..[n.14]

Si è appena conclusa l’ultima provocazione, se così possiamo ancora definire, di ciò che non si rende comprensibile o giustificabile secondo quanto stabilito da un codice “ufficiale” che non riguarda solo l’arte, ma ogni forma del nostro, ormai, disordinato mondo del costume e dei nostri comportamenti. A cosa mi riferisco? All’ultima opera dell’artista bulgaro-americano Christo, che con la sua  passerella “galleggiante” dal titolo “The Floating Piers” lunga 4 kilometri e mezzo e larga 16 metri, ha trasformato il sereno lago d’Iseo, in una sorprendente “esperienza irripetibile”.

Il The New York Times quotidiano statunitense intitolava questo evento : “L’arte che ti fa camminare sull’acqua” ed il The Guardian, quotidiano britannico, con evidenti assonanze: “Passeggiando sull’acqua con Christo”.

Il successo di questa “stravagante” installazione sta in una illuminata motivazione, fatta dallo stesso artista: “Volevo agire sul desiderio e sulla curiosità delle persone. Qui non si è persi dentro una realtà virtuale, c’è vero sole, vero umido, vera pioggia, vero vento, non c’è la riproduzione di un’immagine appiattita”. Nulla di artistico,quindi, nulla che richiami un tentativo, seppur discutibile, di opporre alla magnificenza dello scenario naturale del lago e dei suoi monti, un tracciato artificiale di dissonanti ambiguità creative. Avere la sensazione di camminare sull’acqua non è un messaggio artistico e non ci permette di esplorare nessun segno evidente dell’arte presente sul territorio  o nelle sue leggende di antica storia locale.

Ma a chiusura dell’evento, sempre lo stesso artista Christo, così commentava la sua realizzazione della pedonale acquatica che ha registrato oltre un milione e mezzo di persone:” Il bello di “Floating Piers”? Che non porta da nessuna parte”. E’ una semplice espressione di libertà.

“L’arte non è un progetto, è un’esistenza”, altra sua affermazione che ci lascia, ulteriormente  perplessi. Che senso ha, allora, parlare di arte contemporanea o di qualunque altra che sia stata protagonista di idee, di pensiero, di bellezza, di motore ideologico per descrivere, rappresentare, profetizzare il mondo del passato, quello in cui viviamo e quello futuro? Una spiegazione c’è,al di là, delle ovvie contestazioni: siamo e viviamo in un’epoca divoratrice, dove il senso delle cose è vissuto nel suo consumo materiale immediato e non ideale. Tutto è finalizzato al ridurre il nostro modo di essere nel bisogno effimero della leggerezza delle emozioni provocate dagli stimolatori del presente, il cui ricordo è sentirsi “massaggiati” dai flash dei selfie. E’ è il vero quadro per i posteri!

Questa subdola e diffusa esperienza della “non arte”, dovrebbe preoccuparci, perchè, mentre si cerca di ri-costruire una formazione artistica ( dalle Istituzioni deputate alla Scuola ) e la conoscenza dell’arte intesa come veicolo per interpretare la nostra storia e quella dei secoli scorsi, si accolgono, con entusiasmo commerciale, esperienze negative come questa, che viene considerata ed utilizzata per costruire e diffondere un turismo fatto di sensorialità evanescenti e di emozioni da “parco dei divertimenti”, e non di cultura della creatività e formazione.

 

Franchino Falsetti

 

Parte della piattaforma vista dal'alto, il 18 giugno (Michael Kappeler/picture-alliance/dpa/AP Images)
Parte della piattaforma vista dal’alto, il 18 giugno (Michael Kappeler/picture-alliance/dpa/AP Images)

 

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Le parole dell’Arte – Art Brut

Le parole dell’arte. 

A cura di Franchino Falsetti. 

Art brut. 

Nel 1945 in una Europa ridotta ad un continente privo delle sue antiche e secolari bellezze e sepolto da vaste testimonianze fatte di macerie e di struggente desolazione, dove dominano le forze distruttive dei “quattro cavalieri dell’Apocalisse”, il pittore francese Jean Dubuffet, sperimentava la nascita di un nuova arte, da lui denominata : art brut. Un’arte definita “primitiva” perché voleva opporsi a quella “colta”.

E’ un’arte che fu sorprendente e che scandalizzò, non solo i benpensanti ma coloro che amavano dividere “l’espressione artistica” secondo modelli o schemi accademici codificabili.

 

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Affluence. Jean Dubuffet (1961)

 

Nello scenario del dopoguerra dominato dalla violenza e dalla “bestialità” dell’uomo più civilizzato del mondo ( quello europeo e quello americano ), Dubuffet pensò di anteporre la naturale ed autentica espressione che come Klee, si rintraccia nei bambini. Una pittura infantile, dove l’espressività risiede nella spontaneità e nella libertà delle immagini, dell’immaginario.

Nessun processo intellettuale o pre-determinato, ma un proiettare, in senso liberatorio, il proprio mondo interiore, una certa emozione che si fa materia. E così nasce una nuova creatività disinibita, priva di ogni orpello e condizionamento ideologico.

 

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Vache au nez subtil. Jean Dubuffet.

 

Ci fu che volle identificare questa arte al genere naif. L’art brut non è naif e non appartiene a nessuna scuola. “ I materiali che la caratterizzano sono spesso oggetti di recupero o scarti ( lo stesso Dubuffet  negli anni cinquanta utilizza accanto alla pittura tradizionale detriti, spugne, ali di farfalla ) assemblati insieme con grande libertà in veri e propri quadri, costruzioni, sculture”.  Nell’opera di Dubuffet troviamo una nuova ricerca della figurazione, realizzata attraverso il rifiuto degli schemi tradizionali. Ci troviamo di fronte a processi di figuralità deformata con la sperimentazione di rinnovate tecniche pittoriche.

 

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Rue passagére. Jean Dubuffet. (1961)

 

Dubuffet, affermerà, in una importante conferenza tenuta alla Facoltà di Lettere di Lilla ( 10 gennaio 1951 ) in occasione della inaugurazione della mostra ”Cinque piccoli inventori della pittura”: Paul End, Alcide, Liber, Gsduf, Sylvocq, presso la libreria Marcel Evrard dal 10 al 25 gennaio 1951, intitolata : “Gloria ai valori selvaggi”, che : “ E’ soltanto in quest’ art brut che si trovano, a mio avviso, i processi naturali e normali della creazione artistica, nel loro stato puro ed elementare. E’ l’assistere a tale operazione che mi sembra appassionante, e, in questo momento, poco importa che le opere create siano di scarsa ampiezza, che impieghino dei mezzi molto ridotti, che addirittura limitino, in certi casi, a piccoli scarabocchi poco elaborati e molto sommari tracciati sul muro con la punta d’un coltello o matita sul primo pezzo di cartaccia capitato tra le mani. Quel disegnino buttato giù in gran fretta mi pare che abbia un contenuto ben più ampio, e un significato ben più prezioso, della maggior parte dei dipinti grandi e pieni di pretese, quasi sempre completamente vuoti, che affollano i musei e le gallerie d’arte”.

Il suo anticonformismo e le sue impensabili scelte materiche condizionarono le esperienze artistiche successive, suggerendo  continue sperimentazioni fino all’esplosione della fenomenologia dell’ arte povera.

Franchino Falsetti

 

 

Bibliografia

  • Jean Dubuffet,  I valori selvaggi . Prospectus e altri scritti ( a cura di Renato barilli ), Milano, Feltrinelli Editore. 1971
  • Gillo Dorfles, Ultime tendenze nell’arte oggi. Dall’informale al concettuale, Milano, Feltrinelli Editore. 1961

 

 

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Nassim: una voce senza parole

A volte mi chiedo se sia vero che l’arte oggi sia, davvero, morta e che non solleciti più alcun interesse, soprattutto, tra le nuove generazioni.

Può sembrare una oziosa domanda, ma, invece, è qualcosa che va ricercata. In Italia, per esempio, moltissimi sono i giovani di ambo i sessi, che scelgono, senza mira alcuna, il campo dell’espressività, della comunicazione pittorica, dei vari stilemi della creatività artistica. Oltre alle scuole ufficiali pubbliche o private, moltissime sono le “agenzie” che promuovono iniziative di natura educativa o formativa dell’arte non solo in senso amatoriale,  ma anche in senso professionale, con adeguate borse di studio, viaggi all’estero, scambi di esperienze e soggiorni di cultura. Un vero mondo di opportunità attorno ad un “occhio magico”, che si chiama: Arte. Non è l’Arte, però, che traccia il solco della tradizione, oggi, del trasmettere alle generazioni successive o, come si diceva un tempo, ai “posteri”. E’, invece, un ‘arte della contingenza, della necessità di vivere e di sopravvivere. Una scelta di vita, di libertà.

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Una scelta per valorizzare la propria personalità il proprio universo interiore. Un modo per sentirsi rassicurati e per navigare nell’immenso mare dei cambiamenti epocali e delle incertezze dei nostri destini. L’arte che si trasforma, che cambia il suo “statuto” di immagini e di conoscenza. L’arte come linguaggio della quotidianità, della immediatezza, come “logo” del vivere in un perenne  disordine. Tutto questo traspare dalle opere della promettente artista Nassim Hoharyar, giovanissima iraniana che frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Bologna e si sente un po’ bolognese.

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Lo stile pop up le serve per essere incisiva nei suoi messaggi. Sì, perché questa artista usa l’arte come “scrittura”. Quella stessa che caratterizza la velocità delle lettere “figurate” della scrittura araba. I suoi soggetti sono le figure femminili, come metafora del desiderio del riscatto, della rivincita, del conflitto, della paura, della libertà.

Il problema femminile senza voce : questo è il segreto messaggio che si vuole affrontare. Il color rosso della passione, figure che sembrano specchiarsi in un infinto senza orizzonti, volti di donne dimezzate, sguardi senza rassegnazione, ma vuoti nella loro solitudine, sono le nuove immagini di un mondo perdente. Un mondo che non sa ascoltare, un mondo che non sa rispondere alle voci senza parole, perché è stata tolta la parola come fonte del dialogo, della comprensione, della comunicazione.

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Nassim è una artista potenzialmente ricca di espressività nascosta, ancora non del tutto strutturata. I contenuti delle sue opere sono pieni di sentimento, ma hanno bisogno di non disperdersi nelle seduzioni dell’arte del consumo onnivoro o nell’arte corrotta e globalizzata del mondo occidentale. Nassim è “piccola ma crescerà” se riuscirà a mantenere la sua identità e la sua genuinità delle sue origini e della sua cultura, ancora, “incontaminata”.

 

                                                                                                                                                                                                                                           Prof. Franchino Falsetti – Critico d’Arte 

 

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