EDITORIALE Millecolline. La morte delle utopie e la nascita delle regressioni

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 28/05/2023

La morte delle utopie e la nascita delle regressioni

Questo XXI secolo ci riporta agli albori dell’anno Mille: ai suoi sconvolgimenti sociali e naturali e alle sue incertezze fisiologiche, alle varie fragilità esistenziali e alla sfiducia negli oscuri avvenimenti che solo i protagonisti delle Corti dei Principi e del potere temporale dei Papi potevano interpretare, modificare, condurre. Il popolo, sottomesso all’ignoranza, allo sfruttamento ed ogni tipo di vessazione doveva solo ubbidire.

Tutto si mescolava con le distrazioni delle quotidiane emozioni, dei desideri, e del “piacere vano delle illusioni”. Già nel secolo scorso alcuni studiosi scrissero sul nuovo medioevo o sul medioevo prossimo venturo. In particolare gli intellettuali di sinistra che a partire dagli anni settanta del secolo scorso, si trovarono orfani di quegli ideali che avevano ereditato e avevano sostenuto – come quelli che ispirarono il pensiero marxista e la rivoluzione russa del 1917.

Una sinistra che si trovò proprio in quegli anni al capolinea con l’aver prodotto mostri come il terrorismo e la piena sfiducia nelle Istituzioni pubbliche e private.

Si ritrovarono come sempre le eterne polemiche che facevano girare la roulette della vita puntando la propria “uscita di sicurezza”  sulla solita pallina nera. Da quegli attentati, ancora insolvibili, dagli omicidi dei servitori dello Stato alle trame della guerra fredda e alle masse silenziose, si andavano delineando nuove geografie politiche che aggredirono i modelli ed i valori del passato, ma non riuscendo a sostituirli con altrettanta determinazione e modus vivendi, esplosero in mille nuovi valori legati alle fenomenologie  della vita quotidiana, alle politiche sociali della solidarietà, dell’ecologismo, del revisionismo culturale, fino ai processi della cancellazione della memoria storica e culturale.

Si affermò la reazione del riflusso (parola che in questi ultimi decenni di fragilità e di liquidità non viene più pronunciata. Forse per coprire l’ennesimo fallimento, come avvenne con la caduta degli dei, quando l’uomo si rivolse alla scoperta, al disincanto, alle sfide del super-uomo, disumanizzandosi, come in questa età contemporanea?)

Ma nel passato, anche prossimo, continuava a sognare, a battersi per degli ideali, ad inseguire salutari utopie.

Era ancora l’uomo dialettico e non monologante, individualista e dissociato come quello contemporaneo.

Dalla Pandemia si sono sviluppate molte altre intossicazioni che hanno provocato diverse forme di regressione e la perdita totale dei valori esistenziali, sociali e culturali.

Oggi si tende a valorizzare il mondo virtuale e i suoi corollari. L’uomo rimane ad una dimensione e per dare un senso al suo agire (e non al suo Essere) cerca in queste nuove dimensioni artificiali della realtà e delle sue rappresentazioni nuovi valori, nuovi modus vivendi.

“Non dobbiamo pensare di trasformare l’uomo in un essere perfetto o quasi divino. Ma possiamo tentare di sviluppare ciò che di meglio c’è in lui, ossia la sua facoltà di essere responsabile e solidale. Solidarietà e responsabilità sono imperativi non solo politici e sociali, ma anche personali”. (Edgar Morin, Le 15 lezioni del Coronavirus, Cambiamo strada, Raffaello Cortina Editore, 2020).

                                                                                                                                            Franchino Falsetti

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