Editoriale Millecolline. La sinistra in Italia è un partito di ricordi

Editoriale

L’Editoriale Millecolline

Pubblicato il 29/01/2023

La sinistra in Italia è un partito di ricordi

Non farò delle dissertazioni da politologo o da studioso di scienze sociali. Mi limiterò a considerare, sommariamente, ciò che storicamente dalla fine della seconda guerra mondiale è accaduto per concludere con un finale che forse nell’età della comunicazione e della verbosità illimitata, non si è ancora valutato o riflettuto abbastanza.

Non è una novità affermare che nell’Epoca del declino delle Civiltà e dei suoi valori, questo non sia da accentuare, soprattutto, per le aggregazioni culturali, politiche e sociali.

La Società produce gli effetti di cambiamento e trasformazione e non viceversa. I partiti sostengono (quelli che hanno ancora queste caratteristiche) un loro progetto, un loro programma dove i valori sono stati sostituiti dai diritti. Tutti reclamano e vogliono diritti senza confini. Troppi diritti hanno proiettato altrettanti torti, cancellazioni, negazioni, incapacità, impossibilità a garantire ogni sicurezza. I valori connotavano la formazione della persona e della personalità, i diritti sono delle segnaletiche burocratiche per garantire demagogici livellamenti, omologazioni e nuove forme di diversità e di diseguaglianze.

La sinistra post moderna ha cercato di riannodarsi ai principi del marxismo e delle evoluzioni progressiste relative alle conquiste di autonomia, libertà e benessere sociali senza arrivare a concretizzare nessuna promessa rivoluzionaria e di liberalizzazione di ogni costrizione ed obbligatorietà burocratica.

Ci sono stati: il ’68, il terrorismo, gli attacchi allo Sato da parte della mafia, il metafisico movimento delle “mani pulite”, alcuni governi di sinistra, la perdita di molte regioni storiche definite rosse, una destra combattiva, ma meno credibile della sinistra.

La sparizione dei vecchi partiti che fecero l’Italia repubblicana e portano l’Italia tra le Sorelle mondiali per il benessere e la modernizzazione delle proprie Istituzioni ed Industrie, ha prodotto effetti effimeri ed illusioni di essere usciti dai sacrifici e sottomissioni. Invece ha creato un popolo orfano di sicurezze legate a sistemi efficienti e professionalità selezionate. I vecchi partiti accusavano una certa stanchezza e difficoltà a capire il nuovo che veniva da altri paesi, da altre culture, da altri modelli di vita.

È mancato il cosiddetto passaggio delle consegne tra un modello partitocratico anacronistico ad una più credibile ed articolata organizzazione della Società nelle sue determinanti variabili istituzionali. La seconda Repubblica naviga su una zattera di seconda mano e i volti con le barbe fluenti non ci sono più. Nessuna formazione è richiesta per fare il politico di mestiere od il parlamentare o consigliere comunale, regionale, locale (liste civiche).

Su quella zattera scalcinata ci sono i parvenu, i vanitosi, quelli che sono cresciuti all’insegna che tutti possono essere tutto e che non esiste il talento innato, la predisposizione, l’emulazione, il merito, la formazione specialistica o delle specializzazioni. Si diffondono slogan come: la Società della conoscenza, la Società educante, l’educazione permanente, del tutti uguali, delle pari opportunità, ma sono solo parole vuote, conosciute da pochi, senza alcuna comprensione perché mancano gli strumenti per interpretare e per sostenere.

La Scuola deve essere rifondata perché sia, non un luogo di felicità, di emozioni, di sperimentazioni ambientaliste e di sollievo per i dolori mestruali, ma per realizzare, con maggiori qualità, un nuovo Centro di saperi, di conoscenze, di imparare ad imparare, di saper conoscere ed usare la lingua italiana (che si viene a sapere che non è la lingua ufficiale del nostro Paese: perché lo sia, bisogna inserirla nella Costituzione), di formare degli studenti non ripetitori ma ricercatori, ed avere docenti che non ammaestrano, ma sono architetti dell’educazione e dell’istruzione, di predisporre percorsi di progettualità per ogni disciplina, di prevedere, con prove rigorose, gli stadi della maturità scolastica, al fine di uscire veri protagonisti, pronti ad inserirsi nel mondo del lavoro e delle libere professioni (non con le attuali animazioni della scuola-lavoro).

La sinistra in tempi lontani ha sostenuto la stagione delle riforme scolastiche (di innovazione), ha cercato di abbattere tutti i pregiudizi che continuavano ad esserci circa la diversità sociale, culturale e la disabilità fisica ed intellettiva. Un impegno nel mondo del lavoro e della produzione, ma sempre più con poca convinzione. Già alla fine degli anni Settanta del Novecento la classe operaria era solo un film di successo con l’insuperabile Volonté. Con gli anni Ottanta, governo Craxi e crollo del muro di Berlino, il mondo cambiò cavallo ed anche la sinistra (PCI), dopo la scomparsa del (PSI), trasformò il nome, i programmi, i segretari, fino all’invenzione dell’Ulivo e del PD (oggi in piena navigazione sott’acqua).

Cosa non ha funzionato? L’indifferenza degli italiani in questi ultimi decenni si è fatta sentire nelle urne elettorali. E chiara è la sfiducia verso mutante realtà (anche sindacale): il mondo non cambia nemmeno con il conflitto russo –ucraino. Che sarà un prossimo editoriale.

Un Paese privo di ingegni, di veri talenti, di autentici intellettuali non può che adagiarsi su un rassicurato conformismo che ha travolto ogni ideologia, ogni autonoma creatività, ogni fantasia ed immaginazione. La sinistra, come si può notare, la scrivo sempre in minuscolo, perché oggi è una aleatoria equazione dove i contenuti prospettici del vivere civile sono esclusivamente affidati alla burocrazia, alle gabelle, alle menzogne di cui anch’essa si alimenta e governa (il concetto di apparato, nomenclatura, di censura, di emarginazione, di classismo hanno finito per imporsi a dispetto di ogni velleità libertaria).

In Italia hanno vinto il consumismo, l’ambizione e l’arroganza. Gli esponenti della sinistra, sono i nuovi padroni, quelli che amano le belle macchine, i bei vestiti ed i luccicanti gioielli (leggi la cronaca e guardali in tv). L’ISTAT ci ricorda la povertà degli italiani (ma sono solo dati statistici. A nessuno interessa se non per comiziare ).

I redditi dai parlamentari ai politici di ogni realtà partitica e relative costellazioni rappresentano la classe agiata di questa maltrattata e non più proletaria Italia. Ma poiché la sinistra vuole essere a tutti i costi protagonista dei destini degli italiani, bisogna convenire che non rappresenta più i meno abbienti, i poveri, la classe (scomparsa) operaia, le istituzioni destinate alla cura della persona e della collettività, perché essa stessa vive e vuole vivere di privilegi, di ostentata ricchezza, di modelli di vita europei.

La Repubblica italiana si basa sul lavoro, non sul consumismo dei governanti e neppure sulle anacronistiche utopie della sinistra (di questa sinistra post moderna) al potere, senza identità.

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